Per Marcello Cicalò di Italian Hospitality Collection, il futuro dell’accoglienza deve puntare sull’empatia, sulla semplicità del lusso e sull’Italia come destination mondiale.
di Davide Deponti
Rilancio della destinazione Italia; focus sullo slow tourism di qualità e sulle nuove modalità dell’hotellerie a 5 stelle; importanza della tecnologia ma anche centralità del fattore umano per realizzare una ricetta di accoglienza di successo. Lo racconta a Pambianco Hotellerie Marcello Cicalò, group director of Operations di Italian Hospitality Collection. Prima di scoprire le sue riflessioni sul mondo del turismo e la sua ricetta per il futuro del settore ecco la ‘notizia’: il manager svela in anteprima l’ingresso di due hotel nel ‘mondo’ Hilton. Si tratta del nuovo 5 stelle Baia di Chia Resort Sardinia, che già da quest’estate accoglierà i suoi ospiti sotto il segno di Curio Collection by Hilton, brand che include hotel creati in piena sintonia con lo spirito del luogo in cui sorgono, e del 5 stelle lusso Hotel Laguna. Questo però sarà un Conrad Hotels & Resorts, brand focalizzato sul lusso, dal 2022.
“Con queste due operazioni – spiega Cicalò – legate all’importante opera di riqualificazione di tutto il Chia Laguna Resort che ha da poco riaperto i battenti (oltre a Hotel Laguna e Baia di Chia Resort Sardinia, fa parte del Chia Laguna anche l’Hotel Village) vogliamo spingere ancora di più sull’acceleratore della ripartenza. Lo scopo dell’operazione è duplice: da una parte garantire ai nostri ospiti un’esperienza di soggiorno ancora più esclusiva, grazie agli elevati standard di qualità del gruppo internazionale, dall’altra mantenere tutta la nostra identità italiana con un forte accento sulla più autentica esperienza locale. Oltre a ciò, grazie a Hilton, avremo accesso ai canali distributivi internazionali che solo un brand leader mondiale dell’hospitality può garantire”.
L’investimento di IHC su Chia era quindi legato a questa operazione?
Il progetto con Hilton darà un forte slancio e una grande visibilità non solo al resort ma a tutta la destinazione Sardegna, rappresentando un importante volano economico ed occupazionale: si tratta di un’opportunità senza precedenti. Ed è chiaro che la ristrutturazione è stata fatta anche per andare incontro a questo rebranding. Ma attenzione: a Chia, italianità del prodotto e management dell’azienda restano ‘nostrani’, sotto la direzione di IHC. Restare italiani e insieme fare un salto per la distribuzione a livello mondiale era un’opportunità che non si poteva non cogliere. E non nascondo che ci aspettiamo una risposta esplosiva da parte della clientela soprattutto americana, ma anche asiatica e mediorientale.
Quale futuro per il turismo in Sardegna,
e quale per l’Italia?
La Sardegna deve sempre di più puntare ad un turismo di alta qualità e rivolto ad un pubblico internazionale: penso che il turismo ‘lento’, vissuto con i tempi giusti, sia la soluzione migliore. Una qualità però da mettere a sistema con tutti i servizi che fanno parte della vacanza e che fanno la differenza: una tariffa più alta è benvenuta anche dal cliente ma solo se giustificata da servizi top. A ciò va poi abbinata una politica che incentivi l’incoming, grazie a collegamenti aerei certi e sicuri verso Paesi europei e extraeuropei. Quanto alla destinazione Italia sono convinto che si appresti a vivere un periodo di rinascimento, grazie a diversi fattori. Intanto si esce da una crisi e c’è grande desiderio, quasi un ‘fuoco’, di riprendersi la propria vita. Sarà così per almeno i prossimi 3 anni. Poi il Belpaese resta una meta di grande appeal sul mercato mondiale e in particolare per gli Usa: gli americani non vedono l’ora di tornare alla riscoperta del nostro Paese. Le tendenze del turismo di oggi verso il contatto con la natura, la vita all’aria aperta, la riscoperta della bellezza, sono un’occasione ulteriore che il mercato italiano deve sfruttare. Ci vuole positività e capire che abbiamo una grande opportunità, da non mancare.
Finalmente avremo un turismo allungato
su tutto l’anno?
Abbiamo sempre avuto l’idea di allargare la stagionalità per le nostre destinazioni: in Sardegna, col Chia Laguna, ma anche in Valle D’Aosta, col 5 stelle Le Massif Courmayeur, e in Toscana, con gli spa resort termali 5 stelle Fonteverde, Bagni di Pisa e Grotta Giusti Thermal Spa, appena riaperto dopo un’importante riqualificazione firmata dallo studio di architettura specializzato in hotellerie di lusso, Richmond International, e l’ingresso in Autograph Collection Hotels di Marriott. Se riuscissimo ad aumentare di poco i numeri della bassa stagione faremmo una grande differenza a livello di Gruppo IHC. Ad esempio il programma Workotium, per lavorare da remoto in hotel godendo dei servizi a 5 stelle, che abbiamo lanciato in tutte le strutture lo scorso marzo, è di nicchia ma può essere un volano. Non solo, in tutte le location puntiamo sul recupero delle esperienze autentiche per dare qualcosa di unico al cliente di alto livello, con una logica di originalità.
Torneremo a un’ospitalità empatica
o il futuro è solo tecnologia?
La crisi ci ha obbligati a trarre il massimo da tutto e ha estremizzato l’uso del digitale, ma proprio questa iper tecnologia ci ha mostrato l’insostituibilità della relazione umana. Ad un aumento dell’efficienza grazie alla tecnologia risponderà una voglia di interazione personale ancora maggiore: lo vedremo negli eventi aziendali e lo vediamo già ora con le vacanze di famiglia. Si uscirà di meno ma si spenderà di più: già ora la spesa per le bevande è in media del +30% a camera. Oggi incontrarsi fisicamente ha un effetto esplosivo e le relazioni saranno più importanti, perché le daremo non più per scontate.
Nel post pandemia, che significato avrà
il lusso?
Il concetto di lusso è molto personale. Applicato però al turismo e inteso come “alta gamma”, oggi i trend vanno verso la semplicità, la relazione umana e la qualità eccelsa. Ma credo sia la relazione umana, in quanto unica e non replicabile, il vero vantaggio competitivo. Anche le più piccole attenzioni fanno la differenza, quindi a essere determinanti saranno sempre di più la formazione e il training del personale. Purtroppo, per i giovani il lavoro nel turismo non è diventato ancora “cool”. Ma il messaggio può passare, pensiamo alla figura dello chef: ci vuole una migliore comunicazione sulla bellezza e la soddisfazione di lavorare nell’hospitality.
I prossimi progetti per IHC?
Ne abbiamo diversi e molto belli ma in particolare il nostro obiettivo è lavorare molto sull’internazionalizzazione delle strutture. Pre-pandemia avevamo 50% turisti stranieri e 50% italiani, che invece oggi sono all’85 per cento. L’obiettivo per i prossimi anni è non solo di tornare ai valori del passato, ma di incrementare la clientela internazionale del 20%, con un focus sulla destagionalizzazione. Da soli comunque non possiamo fare nulla: il turismo è una leva che va usata a livello strategico come Paese.