Tra la Penisola e gli altri Paesi esistono forti differenziali nelle tariffe delle strutture di pari livello. Le ragioni? Sono legate ai mancati investimenti e alla qualità del servizio. Le visioni, talvolta discordanti, tra gli imprenditori.
di Andrea Guolo
Nell’immaginario collettivo, gli hotel italiani vengono spesso considerati tra i più costosi al mondo. In realtà, comparando i prezzi medi tra Italia ed estero, si può scoprire che le nostre strutture di eccellenza sono perfino troppo convenienti rispetto agli standard internazionali. La questione è emersa a margine dell’incontro Luxury Hospitality Conference, organizzato da Teamwork Hospitality a Milano, per voce di Paolo Barletta, CEO di Arsenale, il quale ha evidenziato come le tariffe di hotel appartenenti a catene internazionali come il Rosewood Castiglion del Bosco e lo Splendido Portofino (Belmond), che non possono applicare tariffe più basse rispetto alle accomodations analoghe degli stessi brand, possano raggiungere in estate tariffe adr attorno 2.500 euro a camera per notte, contro i mille euro in media degli hotel 5 stelle lusso appartenenti a gruppi italiani. Durante l’evento milanese, Aldo Melpignano, proprietario di Borgo Egnazia e San Domenico Hotels nonché vice presidente di Altagamma, ha aggiunto che sussiste un gap tariffario molto importante tra le destinazioni montane italiane e quelle di altri Paesi, in particolare della Francia e della Svizzera. Quali sono le ragioni di questo differenziale così elevato? Pambianco Hotellerie lo ha chiesto a quattro proprietari e manager delle strutture tricolori di lusso, scoprendo che l’analisi si presta a differenti interpretazioni.
LA PORTATA DEL DIFFERENZIALE
Paolo Barletta, CEO della società frutto della partnership con Nicola Bulgari, conferma le impressioni pubblicamente espresse. “Il gap è molto significativo. Nelle principali capitali europee ci troviamo spesso a pagare rate che sono sempre vicino alla soglia dei 1.000 euro. Parimenti, in Italia, notiamo che questo importo è solitamente più basso di un 20 o 30%. Nel mondo puramente ‘leisure’ e quindi resort o hotel di ‘vacanza’ il gap aumenta. Le tariffe medie degli hotel in Costa Azzurra ad esempio hanno un differenziale importante. Se pensiamo poi alle strutture oltre Oceano e in Asia, questo gap viene ancora più rimarcato”. Non è d’accordo Vito Cinque, proprietario e general manager de Il San Pietro di Positano, il quale afferma: “In generale, le tariffe applicate in Italia sono superiori a quelle proposte all’estero. Le nazioni di riferimento in questo caso sono necessariamente quelle europee, che vantano flussi turistici ragguardevoli. Un albergo di lusso a Roma costa mediamente il 30-40% in più rispetto ad un equivalente a Madrid o Berlino. Con punte fino al 60% rispetto ad altre capitali quali Lisbona, Atene o Bruxelles. In alcuni casi però il divario scende o si azzera, ad esempio in città come Parigi o Londra, oppure in località rinomate: a Cap d’Antibes o a Santorini i prezzi corrispondono a quelli di Capri e Positano”. A nutrire dei dubbi sull’esistenza di un simile differenziale è anche Angelika Schmid, proprietaria di Villa Eden a Merano, fresca di inserimento nel club di The Leading Hotels of the World, la quale dice: “Non vedo tutto questo gap di prezzo tra Merano e località simili situate in Austria o in Germania. E certamente non sarebbe sensato, per una struttura come la nostra che lavora per il 70% con il mercato italiano ed europeo, aumentare di blocco i prezzi, perché una decisione simile determinerebbe la perdita di una parte rilevante di clientela consolidata. Crediamo invece che l’ingresso di Villa Eden in The Leading Hotels of the World potrà costituire un ottimo biglietto da visita per attrarre più clientela internazionale, riuscendo a soddisfare le esigenze di questi ospiti attraverso un graduale aumento del livello di servizio pur mantenendo il giusto equilibrio tra prezzo e qualità”.
ALL’ORIGINE DEL GAP
Se esistono delle differenze di prezzo tra Italia ed estero, cosa le ha originate? Giuseppe Marchese, CEO di Ragosta Hotels Collection (presente in Italia con quattro hotel 5 stelle ad Amalfi, Vietri sul Mare, Taormina e Roma), le ricollega alla necessità di colmare attraverso il livello di servizio il gap esistente in termini di destinazioni. “L’Italia, dalle città d’arte alle località balneari, dispone di un patrimonio certamente unico e non presente oltre confine. Per il turismo di alto livello, l’apporto estero più qualificato in termini di servizio ha rappresentato una risposta strategica perché, mancando la materia prima rappresentata dal territorio, gli imprenditori dell’hotellerie hanno puntato su altro. Da parte nostra, dovremmo fare alcune riflessioni approfondite per capire come mai, in Italia, non siamo stati capaci di far pagare questo valore aggiunto e perché, alla fine, ci possa essere un differenziale negativo pur in presenza di un livello più elevato di costi generati dalla pressione fiscale sulle strutture e sul personale. Diciamo che l’Italia dovrebbe certamente costare di più. Se siamo competitivi, e magari qualche volta più convenienti rispetto all’estero, ciò è dovuto anche alla produttività del personale, frutto di una scuola davvero unica nell’accoglienza”. Per Vito Cinque de Il San Pietro, che invece ha una visione opposta e ritiene che i prezzi italiani siano più elevati della media, la ragione del divario è la seguente: “Gli standard qualitativi da noi sono molto più rigidi. L’osservazione dei protocolli comporta maggiori investimenti che, naturalmente, ricadono sul prezzo finale. Va precisato però che gli alberghi italiani erogano esperienze impareggiabili e di fatti il nostro paese vanta una delle quote più alte di alberghi iconici nel mondo”. Viceversa, Paolo Barletta di Arsenale evidenzia i limiti che determinano l’impossibilità, per le strutture italiane di lusso, di applicare prezzi esteri: “Le strutture sono troppo obsolete e quelle invece che sono state rinnovate non seguono gli standard internazionali del lusso. Non si può pensare di spendere 2.000 euro a notte e dormire in una stanza che ha molti mobili commerciali o dei dettagli ordinari. Oggi il design, soprattutto nel lusso, è ‘custom’. Ma custom non significa avere alcuni pezzi su misura, significa avere un intero progetto coordinato che pensa, studia e disegna ogni pezzo e elemento dell’intero hotel. L’unicità dell’ambiente e il pensiero che vi è dietro è quello che il cliente vuole trovare. Altrimenti non è giustificato il ‘premium’ che deve pagare”. E Barletta aggiunge il limite del servizio: “Il numero del personale, e la loro preparazione, sono due elementi essenziale per avere una cura del cliente davvero a cinque stelle. Oggi, soprattutto negli hotel stagionali, viviamo una approssimazione costante con risorse non formate che si nota: sono in un luogo che non conoscono a fondo e non padroneggiano. Il cliente attento lo nota subito”.
ALLINEAMENTO DIFFICILE
Quando una struttura appartiene a una catena internazionale, i prezzi nei diversi Paesi tenderanno sempre ad avvicinarsi, a prescindere dal costo della vita, perché altrimenti ne andrebbe della credibilità della catena stessa. Per le altre strutture, il differenziale dipende anche dal livello del costo della vita, altrimenti non ci si spiegherebbe perché i prezzi più alti siano applicati in nazioni dove il lavoro si paga di più, come ad esempio la Svizzera e i Paesi scandinavi, o la stessa Italia per effetto della tassazione. Per questo motivo, Vito Cinque sostiene che il divario sia impossibile da colmare. “Un 2 stelle in Svizzera costa quanto un 5 stelle in Grecia, anche perché a Zurigo un cono gelato costa 7 euro mentre ad Atene 2. E rinnovare una camera a Positano o Capri comporta costi infinitamente superiori della stessa opera eseguita a Marbella”. Quel che potrebbe aver permesso alle strutture italiane di contenere, nonostante tutto, il livello dei prezzi, è la gestione familiare delle stesse perché, assicura Cinque: “Il passaggio da una struttura da indipendente a parte di una grande catena implica costi aggiuntivi, determinati dalla complessità e dall’appesantimento dell’organigramma”. Per Paolo Barletta, l’Italia potrebbe colmare, nei prossimi anni, il divario esistente con un conseguente miglioramento della profittabilità. “Per farlo servono investimenti massicci sia in qualità degli hotel che nel servizio. Ristrutturare non significa cambiare qualche mobile e rifare alcuni bagni. Serve un progetto d’insieme”. E questo progetto deve partire dalla creazione di scuole alberghiere del lusso dove si possano formare risorse dedicate. “Sarebbe una grande opportunità non solo per gli investitori e imprenditori del mondo hospitality bensì per tanti ragazzi che possono entrare in un’industria affidabile e promettente creandosi una professione duratura e sicura”.