“Sto ricevendo tantissime proposte e vorrei restare nell’arco di 1 km in linea d’aria dall’attuale sede”, racconta a Business of Milan Filippo La Mantia, oste e cuoco, all’indomani della comunicazione che il suo ristorante di piazza Risorgimento chiuderà i battenti con la fine dell’anno. Affitto troppo caro, se parametrato agli incassi della società nella fase post Covid. Si parla di 28mila euro al mese, scontati a 14mila nei mesi successivi alla pandemia e poi tornati alla cifra prevista nel contratto di locazione. Gli incassi però sono scesi del 40% e La Mantia ammette che “se va bene, chiudiamo alla pari, se va male in perdita. Mi ridimensiono per poter ripartire in tranquillità, cercando di pagare tutti”.
Quello del cuoco e imprenditore siciliano è un caso molto significativo di come stia cambiando la ristorazione nella piazza milanese. Tra smart working, crollo del turismo internazionale, rinvio o cancellazione degli eventi e delle fiere (anche se proprio questo mese ripartiranno alcune manifestazioni della moda), il brodo si è ristretto e per i ristoratori è sempre più complicato coprire le spese fisse, perché i costi sono quasi gli stessi. Il risparmio più consistente ha riguardato la manodopera, attraverso il ricorso agli ammortizzatori sociali, ma gli affitti restano una voce molto pesante in termini di incidenza. Anche perché oggi i ristoranti dispongono di una superficie utile inferiore, in quanto il rispetto del distanziamento sociale ha imposto una riduzione del numero dei coperti, con tutto quel che ne deriva. E se d’estate molti ristoranti hanno potuto utilizzare gli spazi esterni per compensare il calo dell’occupazione interna, l’arrivo dell’autunno-inverno pone seri interrogativi a chi fa ristorazione, soprattutto in termini di sostenibilità economica.
Come già evidenziato dalla ricerca condotta da Engel & Völkers Commercial e pubblicata a maggio, la tendenza a Milano è di un ridimensionamento degli spazi dedicati alla ristorazione, soprattutto in centro storico, e di una trasformazione in chiave delivery. Per la ristorazione di livello più alto, data la struttura dei costi, è piuttosto difficile trovare la quadra. Non sono mancate le uscite di scena, da quella di Felix Lo Basso per la scadenza del contratto (non rinnovato) del ristorante in Duomo a quella di Luigi Taglienti per mancata riapertura del Lume in via Watt.
La Mantia ha scelto il ridimensionamento proprio per ripartire a Milano, città che lo ha “adottato” dopo l’esperienza di Roma, dove si era affermato al ristorante dell’hotel Majestic in via Veneto. Nel frattempo, lo chef ha concluso altre due consulenze avviate nell’ultimo anno, quella di Caffè Fernanda sempre a Milano, presso la Pinacoteca di Brera, e quella del San Giorgio Cafè a Venezia, sostituite con quella a Messina nel locale creato dal marchio del caffè Miscela d’Oro e con quella in arrivo su Palermo, all’interno del Grand Hotel delle Palme, con l’apertura a dicembre dei primi due ristoranti.