Ricomincia la crescita degli investimenti nel settore alberghiero. Si è passati da una settantina di deal nel 2019 in Italia a 30 operazioni nel 2020, ma si risalirà a circa 40 transazioni quest’anno con un volume tra 1 e 1,5 miliardi di euro. Lo comunica Cbre a Pambianco Hotellerie, sottolineando che il picco storico è stato nel 2019, quando il real estate dell’hospitality italiana ha firmato deal per 3 miliardi di euro, un record eccezionale, mai raggiunto prima. Un valore che spicca rispetto alla media dell’ultima decade che è stata attorno a un miliardo di euro l’anno. “Negli ultimi anni – precisa Domenico Basanisi, director Hotels investment properties di Cbre Italy – l’asset class hotel ha visto un interesse via via crescente, passando da un miliardo di investimenti nel 2015 a 1,5 miliardi di euro nel 2018”. Dopo un 2019 da ricordare, il 2020 invece è crollato con un calo a valore del 68% rispetto al 2019. “Il motivo – riprende Basanisi – è legato al fatto che le banche hanno chiuso finanziamenti e crediti agli investitori, perché hanno valutato che l’asset hotellerie è troppo rischioso”.
I movimenti attuali riguardano una tipologia ben precisa di investimenti, come spiega Monica Badin, senior Real estate consultant World Capital Group: “Si muovono solo investitori con strategia value-add, ovvero rivolti all’acquisto di immobili vetusti e da riqualificare, in buone posizioni e di grandi dimensioni, capaci quindi di creare valore. Il motivo è – aggiunge – che gli investitori istituzionali considerano ancora troppo rischioso l’asset alberghiero, per questo si punta ad acquistare a prezzi ribassati per creare valore attraverso la ristrutturazione, considerando che la stabilizzazione del mercato è prevista per il 2023”.
L’attenzione degli investitori cade soprattutto su immobili non adibiti a hotel, da riqualificare, come già detto, per poi procedere con la modifica della destinazione d’uso. Questo perché la maggior parte degli alberghi italiani sono troppo piccoli, spesso si tratta di pensioni a carattere familiare, e risultano poco interessanti per i grandi gruppi. “La dimensione dell’immobile è molto importante – riprende Badin – perché con meno di 80 stanze e una superficie inferiore a 4.000 metri quadrati non si riesce a creare un margine interessante per gli investitori. A parità di categoria alberghiera, i costi di un hotel di 50 stanze sono gli stessi di uno di 80 stanze, ma chiaramente i ricavi del secondo sono molto più alti e quindi consentono una maggiore marginalità”.
Per quanto riguarda i player sul mercato pronti ad acquistare, si parla soprattutto di grandi colossi stranieri del private equity, perché in Italia i private equity sono più piccoli e spesso differenziati per settore. L’entità dei profitti varia a seconda dell’operazione: “I rendimenti – spiega Luca Turco, AD di Quinta Capital Sgr – oscillano tra il 4% per transazioni nei centri storici delle principali città d’arte, al 7%-8% quando i deal avvengono in destinazioni turistiche marittime o montane. Per operazioni di sviluppo, riqualificazione e riposizionamento dell’asset si arriva a rendimenti a doppia cifra. Rientra in questo contesto, la tendenza a compare immobili per uffici per poi trasformarli in alberghi”.