La pandemia ha cambiato il profilo degli investitori interessati all’hotellerie in Italia. Se nel 2019, molti deal sono stati effettuati da ‘buyer’ core che effettuavano transazioni di hotel a reddito, nonché da player istituzionali, ovvero catene alberghiere, quest’anno fanno un balzo in avanti le operazioni dei private equity e in generale degli investitori value-add, che creano valore attraverso la riqualificazione dell’immobile.
Lo rivela una ricerca EY, che evidenzia che nel primo semestre 2021 sono stati compravenduti 23 alberghi per un valore di 530 milioni di euro, con un totale di 2.200 stanze e transazioni che mediamente si sono aggirate su dimensioni di 100 stanze. La ricerca mostra anche come i private equity e gli investitori value-add hanno guidato il 68% delle acquisizioni, in linea con quello che avveniva nel 2017, mentre nel 2020 la quota degli investimenti a reddito da parte dei player core era molto più alta e raggiungeva il 42 per cento. “Gli investimenti a reddito – spiega Marco Zalamena, head of hospitality di EY – si sono fermati nel primo semestre di quest’anno perché c’è una forte preoccupazione sulla tenuta del mercato e quindi sulla stabilizzazione dei canoni di locazione. Anche gli investitori istituzionali hanno ridotto la liquidità e quindi anche il numero di transazioni”.
Per quanto riguarda il valore dei deal, Zalamena osserva che i prezzi dei trophy asset, ad esempio i 5 stelle lusso, sono rimasti invariati rispetto alla fase pre-Covid, perché gli investitori hanno apprezzato il fatto che gli hotel fossero in vendita, considerando che l’anno successivo potrebbe non esserci la stessa offerta sul mercato. Più del 50% dei deal ha riguardato gli hotel 5 stelle, perché nel mercato dei 4 stelle e dei 3 stelle la domanda e l’offerta hanno faticato a incontrarsi: la prima cercava occasioni al ribasso e la seconda invece ha cercato di non svendere. Risultato: poche le transazioni rispetto alla domanda, per la fascia dei 3 stelle e 4 stelle, i cui prezzi sono scesi tra il 10% e il 25% rispetto al 2019.
L’interesse dei compratori comunque è stato molto alto. “Non ho mai visto così tanto interesse – aggiunge Zalamena – e direi ancora più di quello che ha contraddistinto il 2019, che è stato un anno record per gli investimenti. A differenza di allora, quest’anno molti deal non si sono concretizzati, per vari motivi legati alla pandemia e alla difficoltà di fare incontrare domanda e offerta. Non ultimo, ha pesato la mancanza di alberghi italiani di grandi dimensioni, non permettendo di creare margini interessanti per gli investitori”.
Il 78% dei deal nel primo semestre sono avvenuti nelle 4 top city italiane (Roma, Venezia, Milano e Firenze). Venezia è stata la protagonista, con 260 milioni di euro di transato, che equivale al 49% del volume delle acquisizioni nei primi sei mesi di quest’anno. Tra le principali transazioni della Serenissima, si ricordano la vendita con patto di locazione dell’iconico Baglioni Hotel Luna, che è stato acquisito dal private equity britannico Reuben Brothers, e il passaggio di Bonvecchiati al fondo lussemburghese Ece, European Lodging Recovery Fund.