Le procedure di sicurezza e l’impennata dei costi legati alle materie prime pesano sui conti di alberghi e catene. I manager confermano lo sforzo per calmierare gli aumenti, ma per qualcuno non potrà bastare.
di Giambattista Marchetto
L’impatto del Covid sul mondo hotellerie non si misura solo nel bilancio passato, con riferimento alle perdite nette subite per il blocco dei viaggi e del turismo, ma anche nel presente, fatto di sanificazioni costanti, pulizie parossistiche, interventi di controllo e monitoraggio della clientela (verifica green pass soprattutto), verifiche sulle prenotazioni. A queste voci di costo imprevedibili e nuove per il mondo hospitality si aggiungono anche i prezzi di gas ed elettricità, con rincari ben più consistenti rispetto all’inflazione a causa del conto salato delle materie prime.
In uno scenario già complesso, questa complicazione sta mettendo sotto pressione i bilanci di catene e singoli alberghi. E nonostante la maggior parte dei manager nell’hotellerie confermi gli sforzi per calmierare l’impatto e non riversarne la penalizzazione finanziaria sulle tariffe, la tenuta può essere relativa e probabilmente il 2022 porterà qualche assestamento.
Se non ci saranno rincari pesanti, sarà perché ancora una volta gli operatori del settore sceglieranno di sacrificare parte della redditività per sostenere la ripartenza. E non mancano gli appelli al Governo.
SOSTEGNI INADEGUATI
“L’impennata dei costi è un dato di fatto”, attacca François Droulers, CEO del Gruppo DHotels (368 camere e due centri congressi tra Doubletree by Hilton Venice North e Four Points by Sheraton Venice Mestre). “Noi abbiamo avuto un incremento dei costi energetici del 31 per cento da giugno a oggi – specifica – e il gas ha raggiunto il +136 per cento. A questo si aggiungono costi operativi legati ai protocolli di sicurezza, ma soprattutto alle risorse umane: è difficile assumere non essendoci disponibilità di addetti. Nel mondo alberghiero c’è una presenza importante di personale femminile con utilizzo del part-time, ma il confronto è difficile tra un contratto di lavoro da 800 euro e un introito simile con il reddito di cittadinanza. Risulta più comodo restare a casa”.
In questo scenario, “molti alberghi son vuoti – dichiara il manager – fatto salvo per i resort in destinazioni che beneficiano del trasporto su gomma e di flussi da Paesi limitrofi: la costa adriatica ha beneficiato delle aperture limitate, mentre la Sicilia soffre di più e le città d’arte sono in grossa difficoltà per la mancanza delle connessioni con il nord America e l’Asia”. Quando però il mercato ripartirà, secondo Droulers sarà inevitabile una evoluzione inflattiva dei prezzi. “Gli alberghi di qualità godranno di un ritorno della domanda, nonostante i rincari – pronostica – mentre soffriranno le realtà, magari più piccole, che non hanno investito su standard di qualità internazionali. Chi invece ha potuto beneficiare del 110% (che noi non abbiamo avuto) gode adesso di una attenuazione dei costi energetici e delle ricadute di agevolazioni fiscali mirate”. Il manager rimarca invece l’assenza di sostegni adeguati: “A fronte di un fatturato 2019 di 10,5 milioni di euro – afferma – nel 2020 abbiamo raggiunto un milione e nel 2021 ne faremo due. Cosa ha fatto il Governo per noi? Nulla, mentre in Austria hanno riconosciuto il 70% dei mancati ricavi e anche in altri Paesi europei il supporto è stato importante. Il settore si sente abbandonato totalmente, dato che non c’è stata alcuna regolamentazione fuori dai contesti riconosciuti come strettamente turistici”.
Conferma l’aggravarsi dello scenario anche Rafi Carmon, cluster general manager Italy, Austria, Hungary di Leonardo Hotels (84 hotel in 8 Paesi). “Cercheremo come sempre di mantenere i prezzi competitivi e di dare il miglior valore e prodotto ai nostri ospiti – dice – tuttavia questi costi sono significativi e sono un peso per i risultati aziendali naturalmente”.
AUMENTI COL MERCATO
Sulla possibile impennata dei prezzi, interviene Andrea Obertello, general manager di Four Seasons Hotel Milano: “L’aumento delle tariffe in atto non è una scelta commerciale legata all’incremento dei costi, piuttosto alla domanda in continua crescita sul mercato di Milano. Come tutti i competitor della fascia 5 stelle, abbiamo iniziato ad aumentare i prezzi da settembre in poi e contestualmente, visto un cambiamento nei trend di prenotazione, con una maggiore focalizzazione sulle suite rispetto alle camere standard”.
Nessuna connessione invece con l’impennata dei costi. “È vero che l’impatto si fa sentire – chiarisce la manager – perché dal gel per le mani alle mascherine, dalla sanificazione quotidiana dei filtri fino all’aumento del 22% del totale utenze, si viaggia su una profittabilità di un punto percentuale in meno. Ciò detto, non sono al corrente di una ricaduta sulle politiche commerciali”.
Anche perché la fascia alta di mercato sembra in ottima salute. Al Four Seasons Milano, dopo un 2020 disastroso con la perdita del 95% di fatturato, nel terzo quarter 2021 hanno raggiunto i livelli del 2019. “I volumi sono stati minori rispetto al periodo pre-Covid – rimarca Obertello – con una flessione dell’occupazione, ma i ricavi sono molto positivi grazie allo spostamento di prenotazioni sulle suite e ad un aumento complessivo dei prezzi di mercato. Solo il Mice va molto a rilento”. Quanto allo scenario congiunturale, “manca ancora la clientela americana, che rimane importante – dice – e speriamo che con la riapertura dei viaggi possa tornare. Siamo però riusciti a compensare lavorando meglio su mercati che avevamo seguito meno, come centro-Europa o Israele. Ora preoccupano le notizie sulla quarta ondata, ma confidiamo nella campagna di vaccinazione”.
RISCHIO RINCARI NEL 2022
È meno ottimista Ezio Indiani, general manager di Hotel Principe di Savoia a Milano. “Le spese – spiega – sono incrementate soprattutto nell’housekeeping in seguito alla sanificazione delle stanze, che viene fatta più volte al giorno, così come quella delle aree pubbliche. È aumentato anche il numero delle hostess in albergo per effettuare il controllo del green pass. Noi cerchiamo di calmierare l’impatto dei costi sui prezzi fino a dove è possibile, ma calmierare tutto è pressoché impossibile. Un aumento della spesa energetica del 20/25 per cento alla fine diventa davvero oneroso e dovremo per forza riuscire a ricaricare parzialmente questi costi sui servizi ai clienti”.
Pur rilevando come sia contestualmente cresciuto il ricavo medio (+20% circa), Indiani si dice preoccupato dagli incrementi pesanti sulle matrie prime. Al momento non è stato applicato alcun ritocco, “ma potrebbe avvenire tra qualche mese – ammette il manager -. Alcuni aggravi riusciremo magari a gestirli con una organizzazione più oculata e un controllo migliore delle risorse. Qualcosa riusciremo ad assorbirlo noi, ma tutto è impossibile perché ci son stati troppi aumenti e tutti contestuali. Al momento la voce energia non preoccupa perché abbiamo un contratto a tariffa fissa per due anni, ma è chiaro che al prossimo rinnovo non sarà più così e dovremo sopportare tariffe molto più alte”.
I costi legati al personale invece non aumentano più di tanto, “perché se è vero che per alcune figure specifiche gli stipendi si sono un poco alzati – dice Indiani – i dipendenti sono nella grande maggioranza persone sagge e comprendono come sia conveniente rimanere in una compagnia che dia garanzie di futuro piuttosto che mollar tutto per 100 euro al mese in più. Noi sappiamo che, come società, si deve ispirare fiducia ai dipendenti e infatti nei momenti più difficili ci facciamo carico delle problematiche legate al lavoro, cercando di dare priorità al valore delle nostre risorse umane. È accaduto nel corso della crisi legata alla pandemia, quando abbiamo scelto di integrare lo stipendio al 100% ai dipendenti rimasti in cassa integrazione. Probabilmente per questo, nel dopo lockdown, non abbiamo avuto alcun dipendente che ci ha lasciato e oggi almeno la metà delle persone con contratto a termine è già rientrata con contratti a tempo indeterminato”.