Si sta facendo strada in Italia la separazione tra proprietà e gestione dell’hotel, utile a liberare risorse per realizzare economie di scala. I multipli che si raggiungono separando le due ‘anime’ sono maggiori che tenendole insieme.
Gestione dell’albergo e ‘mura’ corrono insieme in Italia. La maggioranza dei 32mila hotel nella Penisola sono strutturati con un business model che fa capo a un’unica società, che è sia owner sia operativa nella gestione. Il modello prevalente è quello della proprietà familiare, che è tale da decenni, da intere generazioni, eppure in una società sempre più complessa questo modello comincia a scricchiolare, perché blocca risorse necessarie per la crescita. Si sta facendo largo infatti la tendenza opposta, quella della separazione degli asset, anche se i tempi di sviluppo di questo fenomeno in Italia sono molto più lenti rispetto a quello che sta avvenendo in altri Paesi. Uno dei principali vantaggi di questo ‘divorzio’ è legato al fatto che è in atto una polarizzazione dell’offerta ricettiva, come racconta Mattia Danese, head of Hospitality di World Capital: “Le strutture si stanno posizionando verso il segmento luxury oppure verso quello smart budget. Entrambi questi due livelli richiedono competenze molto specifiche affinché la gestione sia portata avanti in modo soddisfacente. Competenze che riguardano il servizio, la marginalità dei singoli servizi offerti, la capacità di cogliere l’innovazione del mercato e delle nuove tipologie di utenti, nonché quella di adattarsi con flessibilità ai cambiamenti”. Necessità di specializzazione che ha avanzato anche Chema Basterrechea, president Emea di Radisson Hotel Group, in un’intervista rilasciata a Pambianco Hotellerie lo scorso anno: “Il limite per gli hotel indipendenti in Italia è che la proprietà immobiliare e la gestione spesso coincidono, invece si tratta di due ‘mestieri’ diversi, e quindi l’avvento delle catene può spingere il settore verso una maggiore professionalizzazione. L’attività di gestione dell’albergo, del resto, sta diventando sempre più complessa e richiede conoscenze di ingegneria finanziaria, esperienza nella gestione delle risorse umane, know-how tecnologico e competenze nella commercializzazione”.
RESISTENZE CULTURALI
Un altro importante motivo per cui è vantaggioso separare gli asset è che, vendendo la proprietà, il gestore libera risorse per nuove acquisizioni di gestione, così da poter realizzare economie di scala. Ma come scindere la proprietà immobiliare dalla titolarità della gestione? “L’albergatore – risponde Danese – può creare una nuova società che detiene la proprietà dell’immobile, aperta a capitali terzi, con l’obiettivo anche di acquisire altre strutture. La società di gestione, a sua volta, può diventare socia degli investitori immobiliari”. In questo modo, il gestore dismette la parte immobiliare dal proprio bilancio e ottiene risorse che può investire nella crescita dell’attività. Si tratta di un processo che in Italia fatica ad affermarsi, soprattutto per resistenze culturali, nel senso che il gestore stenta ad allontanarsi dalla proprietà perché questa assume un valore affettivo, che ha acquisito nei decenni. “Si aggiunge anche una difficoltà da parte degli investitori immobiliari – conclude Danese – i quali, se sono strutturati e di grandi dimensioni e istituzionali, non trovano facilmente strutture idonee, dato che gli immobili target devono avere dimensioni minime e trovarsi in destinazioni turistiche che giustificano un investimento che, per questi operatori, non è inferiore a 10-15 milioni di euro. Anche questo è un motivo per cui la separazione degli asset in Italia procede lentamente: non è facile, cioè, trovare un punto di incontro sulla valutazione delle strutture, le quali, per il gestore, hanno un valore affettivo e di conseguenza un valore percepito diverso rispetto a quello stimato dall’investitore, che ragiona secondo logiche finanziarie”.
I PROTAGONISTI DEL CAMBIAMENTO
Tra i precursori del nuovo modello di sviluppo nell’hospitality emerge Mangia’s-Aeroviaggi, proprietario fino all’anno scorso di 12 asset, mentre nel corso del 2022 ha creato sei nuove società con il conferimento di sei rami d’azienda contenenti le ‘mura’ e una piccola quota del personale per sei hotel in Sicilia e Sardegna. Le società fanno capo alla joint venture Insulae, nata dall’accordo con Hotel Investment Partners, proprietario di resort nel Sud Europa controllato da fondi di investimento gestiti da Blackstone. Non si tratta di una cessione totale della proprietà, perché Mangia’s-Aeroviaggi è socio al 25% in cinque società e detiene una quota di maggioranza nella sesta, nonché è presente nel board e presidente del consiglio di amministrazione. Il gruppo siciliano inoltre ha avuto il mandato dalle società per il management di tutte le strutture. Andrea Mangia, CFO di Mangia’s-Aeroviaggi e presidente di Insulae, racconta che “in presenza di un partner di grande serietà, che opera attraverso business plan e piani capex ben definiti, è molto utile attuare la separazione degli asset. Il nostro accordo con Blackstone ci ha permesso di concentrarci sulle operations e di liberare risorse che stiamo utilizzando per acquisire talenti e per investire nella tecnologia. Aggiungo che il contratto di management è più vantaggioso di quello di affitto, anche perché si sviluppa una continua interazione con il real estate, si creano sinergie, si fanno panel con diversi operatori, e nel nostro caso, Hip è un ‘consulente’ prezioso essendo specializzato proprio in resort”. Affidare la proprietà a società con competenze specifiche nella industry immobiliare è viceversa utile per aumentare la rendita dell’immobile e soprattutto per tenerlo ‘fresco’, sempre aggiornato e moderno. In Usa infatti si stanno diffondendo gli accordi opco/propco, cioè tra operating company e property company. “I multipli che si raggiungono separando le due ‘anime’ – sottolinea Mangia – sono maggiori di quelli che si ottengono tenendole insieme”. Il manager traccia anche il futuro di Mangia’s-Aeroviaggi, che è quello di diventare una management company asset light, che mira ad essere il partner ideale per il capitale istituzionale. Un altro protagonista di questo nuovo modello di business è Aldo Melpignano del gruppo San Domenico Hotels, a cui Arsenale ha affidato la gestione dell’Hotel Santavenere di Maratea, dopo averlo acquistato nel 2020. “Stiamo spingendo – ha dichiarato Melpignano l’anno scorso – su diverse aperture in gestione. Oltre a Cortina, stiamo negoziando per altri tre o quattro hotel in diverse destinazioni. Stiamo valutando al momento la Sardegna, Roma, Milano e località montane. Per crescere rapidamente dobbiamo puntare sulla gestione. Un investimento alberghiero richiede centinaia di milioni di euro, e quindi tempi più lunghi, mentre possiamo acquisire diversi hotel in gestione nell’arco di un solo anno”. Arsenale inoltre ha acquisito recentemente due hotel che ha dato in gestione ad Accor con il marchio Orient Express, Orient Express La Minerva a Roma e Orient Express Venice nel palazzo Donà Giovannelli a Venezia. Altri esempi ‘virtuosi’ sono Italian Hospitality Collection che fa capo al fondo americano Oaktree e Baglioni Hotels & Resorts che ha fatto un’operazione di leaseback sull’hotel di Venezia con il private equity britannico Reuben Brothers. Per il gruppo capitanato dal CEO Guido Polito, l’operazione di Venezia segna l’ultimo step del passaggio da un business basato su un mix di alberghi in proprietà e in gestione a una società di pura gestione.