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Vendere le ‘mura’ fa salire i multipli

, Palazzo Donà Giovannelli a Venezia, proprietà di Arsenale e gestione Accor con il marchio Orient Express (foto Mao Yuking)

In Italia è tempo di management contract

by Vanna Assumma
15 Marzo 2023

lo studio deloitte sulle nuove gestioni alberghiere nel 2022 dimostra che nella penisola stanno prendendo piede i contratti di management. i city hotel sono molto richiesti e in particolare a roma e venezia. rimane il problema delle dimensioni.

 

L’Italia si sta avvicinando allo scenario che caratterizza molti mercati ‘evoluti’, dove gli asset della proprietà e della gestione di un albergo sono separati, e quest’ultima è in mano a grandi gruppi o catene internazionali con accordi di management contract. Si sa che l’ossatura italiana dell’ospitalità è fatta da piccole e medie imprese, hotel indipendenti e proprietà familiari che affidano l’attività della struttura prevalentemente con contratti di affitto, ma ciò non toglie che il management contract stia prendendo piede anche nella Penisola. Lo dimostra l’analisi condotta da Deloitte Financial Advisory – Real Estate & Hospitality sulle nuove gestioni alberghiere nel 2022: su 80 nuovi contratti, 44 sono in lease, 25 in management contract e 11 in gestione diretta. Se si escludono questi ultimi, dove proprietà e attività fanno capo allo stesso operatore, il management contract rappresenta un terzo degli accordi che sono stati stipulati con società di pura gestione. Un numero non indifferente che afferisce soprattutto al segmento lusso e ai brand internazionali, già soliti a questa modalità di business, ma anche ai gruppi italiani dell’hotellerie.
meno costi e zero rischi
Le ragioni di questa tendenza sono legate a più fattori: “Con gli accordi di management – spiega Angela D’Amico, partner Deloitte Financial Advisory – Real Estate & Hospitality – il gestore non si fa carico del rischio d’impresa, che rimane invece esclusivamente alla proprietà. Inoltre, chi sviluppa l’attività non si impegna finanziariamente, non deve anticipare cash flow, né investire equity o capitale di debito per lo svolgimento del business. I costi del personale e della struttura rimangono in carico all’owner, che ha anche la piena governance dell’asset. Il conto economico della società di gestione è essenzialmente rappresentato da ricavi da fee e costi relativi ad attività di marketing e distribuzione”. In questo modo, si concretizza una sorta di ‘allineamento di interessi’, in quanto sia proprietà sia gestione sono motivati a massimizzare le performance. “Si tratta di un contratto – continua D’Amico – che è presente nei mercati più evoluti, tra operatori professionali, ad esempio tra grandi fondi di investimento o investitori istituzionali (fondi pensione, banche, assicurazioni) che non si accontentano del canone d’affitto, e società di gestione che puntano ad espandersi rapidamente”. Va anche detto che questa tipologia di accordo è piuttosto flessibile e non garantisce la continuità dell’operatore qualora non performi. Questo è uno dei motivi per cui molti gestori preferiscono la ‘sicurezza’ dell’affitto a lungo termine. Inoltre, quando la proprietà è di tipo familiare, il lease consente all’owner di non esporsi al rischio d’impresa, ma semplicemente a quello relativo alla rendita immobiliare.

rimonta delle città
Continuando ad analizzare i dati di Deloitte, si nota che le destinazioni leisure sono ancora molto ricercate dagli albergatori ma una grande fetta delle nuove acquisizioni di gestione riguarda le città. Il 45% del campione è composto da city hotel (in numero pari a 36), il 37% da beach hotel (30), l’11% da mountain hotel (9), il 4% da country resort (3) e il 3% da lake hotel (2). Tra le città più gettonate, Roma e Venezia sono in testa alla classifica. Per fare qualche esempio, a Roma ha aperto Palazzo Ripetta, hotel 5 stelle di proprietà del Gruppo Ginobbi. La gestione dell’hotel, che si trova tra Piazza del Popolo e Piazza di Spagna, è stata affidata alla società di management alberghiero proprietaria dell’immobile. Palazzo Ripetta, che è entrato a far parte della collezione Autentico Hotels, si trova all’interno del palazzo storico dell’ex Conservatorio della Divina Provvidenza, e propone 78 camere, di cui 21 suite. Sempre nella Capitale, ha aperto l’anno scorso Umiltà 36, che fa capo al fondo Colliers con gestione di Shedir Collection. L’albergo, che si ispira agli anni ’50 e ’60, è stato progettato dallo studio CaberlonCaroppi e l’arredo delle 47 unità, distribuite su quattro piani tra camere e suite, è dell’interior contractor valtellinese Concreta. Arrivando alla Serenissima, nel 2022 è approdato Orient Express a Palazzo Donà Giovannelli, proprietà veneziana di Arsenale. Si tratta del secondo hotel del marchio che fa capo al gruppo francese Accor, dopo quello che ha aperto a Roma. L’Hotel Orient Express Venezia ospita 45 camere e suite con vista sui giardini e sui canali della Laguna. Il bar sarà collocato nell’ex sala da ballo del piano nobile ed è prevista l’apertura di un ristorante di respiro internazionale. Sempre nella ‘città dei canali’, la gestione di Ambasciatori Venice Mestre, Tapestry Collection by Hilton torna alla proprietà in forma diretta. Si tratta del primo hotel del brand Tapestry Collection di Hilton Worldwide nel nord Italia, e il secondo nella Penisola, essendo già presente a Roma. La struttura, che si ispira alla storia di Venezia Mestre e al passato glamour dell’albergo, conterà 83 camere, un ristorante, un bar e spazi per il fitness. Passando al Lido di Venezia, lo storico Excelsior, che era di proprietà di un fondo gestito da Coima Real Estate, è stato ceduto a London & Regional Hotels, che svilupperà direttamente il business della struttura.

vincono le catene estere
Arrivando al profilo degli operatori, le nuove gestioni sono per il 56% in mano a gruppi e per il 44% afferiscono a società indipendenti. Del 56% rappresentato dai gruppi, oltre il 64% di questi proviene dall’estero, a riprova di quanto sia consistente l’ingresso delle catene straniere in Italia. “Anche in Italia – commenta D’Amico – abbiamo importanti gruppi alberghieri, ma sarebbe comunque auspicabile un consolidamento degli operatori per esprimere catene tricolori con dimensioni paragonabili a quelle internazionali”.
Per quanto concerne la categoria alberghiera, le nuove gestioni riguardano per il 38% hotel 4 stelle, e, a seguire, 5 stelle (36%), 3 stelle (23%) e 2 stelle (3%). Infine, relativamente alle dimensioni, la maggioranza sono alberghi inferiori alle 50 camere (36%), il 30% è nel range 50-100 camere, il 20% tra 101 e 200 e il 14% ha più di 200 camere. “In Italia – conclude D’Amico – lo stock alberghiero è tradizionalmente di piccole dimensioni, e questo è uno svantaggio per gli investitori, che cercano viceversa grandi dimensioni per avere ritorni in grado di ripagare gli investimenti”.

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