Con l’obiettivo di superare due miliardi di euro nel 2023, Il ceo del gruppo alpitour racconta le strategie di crescita, finalizzate a conquistare quote di mercato nell’alberghiero e nell’aviation.
Essere leader presuppone una grande responsabilità. Ad esempio, quella di non smettere mai di innovare. Lo sa bene Gabriele Burgio, presidente e CEO del gruppo Alpitour, che rappresenta la più grande realtà turistica italiana, con un fatturato di 1,6 miliardi di euro nell’ultimo anno fiscale e con la previsione per il 2023 di superare i due miliardi. L’innovazione è la chiave su cui punta il colosso, sia nell’attività di tour operating, che rappresenta quasi il 60% del fatturato totale, sia nella divisione aviation (23%) sia nel comparto alberghiero (6%). Il business del gruppo è peculiare, innanzitutto perché si tratta di una delle poche realtà del mercato che non è di proprietà familiare e che conta invece azionisti professionali. La sua massa critica è stata costruita a colpi di merger. Risale alla fine del 1900, l’acquisizione da parte di Alpitour di Francorosso, Viaggidea e Jumbo Tours, a cui è seguito Geo Travel Network nel 2012. Pochi anni dopo, il gruppo italiano rileva Swan Tour, Press Tour e Sardegna.com, e nel 2017 Tamburi Investment Partners entra nel capitale della holding. Seguono le recenti mega-operazioni, ovvero il deal con Eden Viaggi nel 2018 e nel 2021 la fusione per incorporazione di Eden Viaggi e Press & Swan in Alpitour Spa. Questo per quanto riguarda il tour operating, mentre altre tappe importanti hanno coinvolto la compagnia aerea Neos con un ampliamento della flotta e delle rotte, la divisione alberghiera Voihotels, che nel 2021 ha lanciato la collezione di alberghi nella fascia lusso VRetreats, l’area incoming con la nascita di Contigo (frutto dell’accordo tra Gruppo Viajes, El Corte Inglés, Logitravel e Jumbo Tours) e la parte ‘retail’ con una joint venture insieme a Costa Crociere per la proprietà al 50% di 2.400 agenzie di viaggio, sotto il ‘cappello’ Welcome Travel Group. L’intervista con Burgio inizia dunque con una visione d’insieme.
Partiamo dal bilancio corporate: ricavi alti ed ebitda superiore al 2%. Si tratta di un indice consueto per questo mercato?
Sì, teniamo presente che all’inizio del 2022, nei mesi di gennaio e febbraio, c’è stata una valanga di cancellazioni di viaggi a causa del diffondersi di Omicron. L’ultimo anno quindi è stato ancora anomalo, tanto che molti competitor europei hanno chiuso l’esercizio fiscale con un ebitda negativo. Alcuni hanno raggiunto una marginalità attorno al 6%, ma si tratta di operatori con una forte preponderanza di alberghi. Il 4% è l’obiettivo di percentuale sul fatturato a cui vogliamo arrivare.
La parte alberghiera quindi ha una redditività nettamente superiore al tour operating?
Certo, ma va considerato che c’è un diverso uso del capitale. L’intermediazione viaggi ha margini molto bassi ma zero uso del capitale. Viceversa, i produttori di servizi, come le società alberghiere e le compagnie aeree, devono impegnare capitale nell’acquisizione o negli affitti degli asset. La redditività è superiore, ad esempio nel caso di Voihotels, viaggiamo su indici di ebitda attorno al 15 per cento. Però, voglio sottolineare, che è l’attività di tour operating a far viaggiare gli aerei e a riempire gli alberghi. L’intermediazione è il motore di tutto.
Quali sono allora le principali innovazioni nell’intermediazione viaggi?
Nel 2021 abbiamo riorganizzato questa divisione per ottimizzare l’elevato numero dei brand, che abbiamo raccolto in tre cluster: ‘Mainstream’ racchiude la proposta di viaggio più tradizionale in cui si concentra l’offerta villaggi e club; ‘Specialties & Goal Oriented’ è dedicato a un consumatore con una possibilità di spesa più alta che cerca vacanze tailor made; il terzo cluster è ‘Seamless e No Frills’ dove il brand di riferimento è Eden Viaggi che ha cambiato pelle e si rivolge a un pubblico smart che cerca servizi e libertà di vivere la meta in autonomia. Questa riorganizzazione ci consente di essere più efficaci, anche nella comunicazione. Infatti l’anno scorso abbiamo pianificato la prima campagna televisiva e quest’anno torneremo sul piccolo schermo. Stiamo facendo anche un grande sforzo sulle tecnologie informatiche: se prima avevamo 6 dipendenti su 100 che lavoravano nello sviluppo software, adesso abbiamo 15 collaboratori su 100 che realizzano programmi per ottimizzare la qualità e la velocità di risposta alle richieste di viaggi, nonché i costi. Infine, sempre in tema di innovazione, stiamo lavorando sulla creazione di nuove destinazioni, soprattutto in Africa. Stiamo interloquendo con i governi locali, con gli ambasciatori, per ottenere finanziamenti di banche internazionali per lo sviluppo, condizione che solo grandi operatori come noi possono portare avanti. È un iter complesso. Del resto, mi piace ricordare che Alpitour con Francorosso è stato tra i primi, tantissimi anni fa, a ‘scoprire’ l’Egitto.
Arriviamo all’hotellerie. Come ha chiuso l’esercizio nel 2022?
Dopo un 2021 a 81 milioni di euro, la divisione alberghiera prevede di archiviare il 2022 con un fatturato intorno ai 134 milioni. Abbiamo chiuso l’esercizio con 22 strutture, di cui 6 VRetreats, e puntiamo a raddoppiare questo numero arrivando a 12 hotel alto di gamma. I nostri 5 stelle VRetreats non appartengono al mondo dei ‘mille euro a notte’, ma in quello che definiamo lusso accessibile, con un Adr attorno a 500 euro.
In seguito allo sviluppo delle catene internazionali in Italia, è auspicabile il consolidamento di un gruppo alberghiero tricolore in grado di competere per dimensioni in questo scenario?
Bisogna considerare che l’Italia è un Paese con ottimi imprenditori, ma carente di grandi aziende. Non siamo rappresentati con il nostro reale ‘peso’ nella classifica delle aziende più grandi in Europa, eppure siamo la terza economia nel Vecchio Continente. C’è una discrepanza. Per quanto riguarda la creazione di una grande catena, noi saremmo pronti ad acquisire altre realtà, laddove sussistano le condizioni, ma purtroppo le aspettative di indipendenza degli operatori sono molto vincolanti. Aggiungo che ho partecipato ai fori internazionali Wttc in Arabia Saudita e Fitur in Spagna. È triste constatare quanto siano poco presenti gli italiani in queste occasioni, e soprattutto sarebbe auspicabile che l’Italia organizzasse appuntamenti internazionali di questo livello.
E cosa ci dice di Neos?
La nostra compagnia aerea si è trasformata durante il Covid. Nata agli inizi degli anni 2000, oggi è la seconda in Italia e opera principalmente voli di linea, di cui l’80% della capacità è commercializzata da tour operator italiani e stranieri. Inoltre abbiamo introdotto un altro business, quello dei voli cargo. Tutto è nato perché, durante gli anni di pandemia e di chiusura delle frontiere, avevamo la flotta ferma sulle piste, di cui bisognava pagare il leasing, l’equipaggio, la manutenzione. Così abbiamo deciso di effettuare oltre 500 voli per il trasporto di mascherine e materiale sanitario. Una volta che le persone hanno ripreso a viaggiare, abbiamo deciso di non perdere questa esperienza e infatti continuiamo a trasportare merci, soprattutto di alta moda italiana nel mondo.
Continua nel settore turistico la difficoltà nel recruiting del personale?
Si, è un grande problema. Non è una questione di stipendi ma è l’offerta complessiva del lavoro che deve cambiare. Importante è ‘cosa’ si propone al candidato, come si struttura la sua partecipazione all’azienda, le possibilità di carriera che vengono date. Per noi l’attenzione alla relazione con i dipendenti è un motivo di orgoglio, investiamo tanto sulla qualità e il comfort degli uffici, sui progetti di job rotation e graduate program, e abbiamo organizzato il lavoro da remoto già prima del Covid. Siamo così attenti al benessere del personale che Forbes ci ha inseriti all’ottavo posto nelle classifica delle migliori aziende dove lavorare in Italia e tra le top 300 a livello mondiale.