L’hotel nel cuore di Milano sta investendo sugli outlet di ristorazione e prevede di aumentare l’f&b (già al 20% del fatturato) di un ulteriore sette per cento.
Park Hyatt Milano gioca le sue carte sul food & beverage per recuperare un ruolo da protagonista – dopo l’addio di Andrea Aprea, uscito dall’outlet principale dell’hotel per avviare un suo progetto – e soprattutto per incrementare i ricavi. È estremamente concreto l’approccio di Nicola Ultimo, director of food & beverage dello Hyatt che guarda su Galleria Vittorio Emanuele II, nel tratteggiare un percorso di crescita che fa perno proprio sull’esperienza enogastronomica (e sugli spirits).
Ultimo, qual è l’obiettivo nel medio termine per il Park Hyatt Milano?
Il nostro fine è riposizionare il food & beverage con un rating importante sulla scena internazionale. Abbiamo un ristorante gastronomico che, dopo la prima stella Michelin nel 2012, aveva ottenuto il riconoscimento di due stelle nel 2017 e quindi il target è riconquistare almeno una stella. Il focus è dunque orientato a valorizzare il gourmet Pellico 3 Milano, che ha riaperto nel 2022 sotto la guida del talentuoso executive chef Guido Paternollo.
Non vi preoccupa il peso richiesto per garantire livelli ‘stellari’?
Avere una proposta di fine dining adeguata ad ottenere una stella è un valore perché supporta un alto posizionamento e anche il fatturato. È infatti un servizio extra di lusso che viene offerto sia all’ospite interno che all’ospite esterno. Il ristorante stellato diventa dunque il faro capace di attrarre chi cerca qualcosa in più.
È uno sforzo che ripaga?
Certo, vent’anni fa c’erano meno competitor orientati ad ottenere una stella, ma per un hotel nel segmento lusso ha un vantaggio. L’alta ristorazione comporta investimenti importanti in termini finanziari e di energie e proprio per questo può funzionare agganciata a un’offerta di servizi più ampia, qual è la nostra. Il ristorante stellato non va dunque pensato come un’isola e nel contesto di un hotel i ricavi possono essere differenziati. In fin dei conti, noi possiamo contare su 106 camere e probabilmente un ospite su due sceglie il ristorante, dove abbiamo solo 12 tavoli.
Non sono solo le stelle a brillare al Park Hyatt. Come avete differenziato l’offerta?
Siamo molto concentrati anche sulla valorizzazione degli altri quattro outlet a disposizione dell’hotel. Il “polmone” per il nostro 5 stelle lusso è senza dubbio La Cupola, il dining aperto 7-23 e dunque attrezzato per un servizio completo, dalla colazione alla cena con l’intermezzo di caffè o aperitivo. Sta poi crescendo con sempre maggiore consapevolezza l’american bar Mio Lab, un asset importante non solo perché vanta una proposta cocktail all’altezza dell’hotel, ma anche perché è un punto di riferimento per la città. E collegato al bar, il Dehors sfrutta la posizione privilegiata nel cuore turistico e culturale della città.
Il food & beverage vi consente di ‘aprire’ l’hotel alla città?
È un processo che complessivamente vale tantissimo, in quanto la ristorazione in albergo nell’arco di un ventennio è cambiata totalmente. Se infatti aveva finito per esser un po’ imbalsamata, soprattutto negli hotel in città che non offrivano alcuna attrattiva per gli ospiti esterni, oggi tutto è cambiato. Il nostro è stato il primo hotel a Milano ad ottenere la stella Michelin, ormai 12 anni fa, e questo perché da vent’anni ormai lavoriamo sull’eccellenza della proposta f&b che possa essere una vetrina per la nostra hospitality lusso a 360 gradi”.
Risultato?
Un rafforzamento complessivo nella gamma di servizi del Park Hyatt Milano, soprattutto perché la ristorazione di livello e il bar possono generare revenue integrate, sviluppando per esempio il filone eventi che è molto cambiato: niente più standardizzazione nei grandi eventi, ma piccoli e customizzati.
Quanto vale oggi il segmento f&b e quali sono gli obiettivi?
Grazie a una strategia integrata, Park Hyatt Milano può già contare su un 20% del fatturato legato al food & beverage. E l’obiettivo di sviluppo è ambizioso: puntiamo a un incremento del sette per cento. Spesso si tratta di una componente in perdita per alberghi cittadini, ma noi vogliamo farne una leva strategica di crescita e posizionamento. In questo momento la domanda su Milano è altissima. L’ospite contemporaneo che frequenta la città richiede servizi di lusso e personalizzati e l’hotellerie offre esattamente questo, anche quando non è collegato al pernotto. Ecco perché prevediamo un incremento futuro.
Come vi muovete sul fronte mixology e spirits?
Grazie all’outlet bar, il Park Hyatt Milano diventa punto di incontro e di esperienza di eccellenza, incrementando la quota di ricavi no-room. È un asset cruciale, come accade in molti hotel di alto livello. Durante il periodo di chiusura per la pandemia abbiamo studiato una proposta molto accurata. Se infatti la posizione rende il Mio Lab decisamente appetibile, d’altro canto vogliamo essere una prima scelta per la qualità dell’offerta. Oggi abbiamo una collana di drink che si adegua alla stagionalità. Ci sono infatti i classici ineludibili, perché sono vent’anni che lavoriamo su eccellenze tra whisky e cognac, ma oggi la mixology è un elemento essenziale. E non mancano le proposte zero alcohol.