Nel 2022 il gruppo italiano ha superato il 2019, che era l’anno migliore di sempre, e mira nel 2023 a una forte crescita. Lo racconta la presidente Elisabetta Fabri, sottolineando che l’Italia è un ‘prodotto’ di alta gamma che deve essere valorizzato.
È arrivato ad essere il primo gruppo alberghiero italiano per fatturato nel 2022, con ricavi a 241 milioni di euro e una crescita record del 181% sul 2021, oltre che dell’1,7% sul 2019, che era stato l’anno migliore di sempre. Per questo Starhotels guarda avanti con grande ottimismo, per sé e per tutto il comparto italiano del turismo, come ha spiegato durante il primo Pambianco Hotellerie Summit, la presidente e AD Elisabetta Fabri.
Un exploit difficile da battere…
Invece siamo già ottimisti per una crescita ulteriore anche nel 2023 perché ci sono già segnali positivi e non bisogna dimenticare che gli ottimi risultati del 2022 sono stati fatti nonostante i primi quattro mesi dell’anno fossero ancora danneggiati dalle chiusure pandemiche. Risultati importanti non solo quanto a fatturato: lo scorso anno abbiamo raggiunto un ebitda di 80 milioni di euro e in crescita del 21% sul 2019. Per il 2023 l’obiettivo è perciò quello di avvicinare la soglia dei 300 milioni di ricavi.
Quali i motivi di questo successo?
Tra i principali driver del cambio di passo c’è stata anche la grande crescita di valore della tariffa media giornaliera, salita del 36% dal 2021 al 2022. Ma non è un caso: Starhotels ha investito negli ultimi anni molte risorse per posizionarsi sul segmento upper-upscale e raggiungere questi risultati. Abbiamo posto grande accento su qualità dell’esperienza, design ricercato e servizio personalizzato, tutti elementi essenziali per essere sempre più competitivi nel segmento di alta gamma.
Il gruppo però è cambiato nel corso del tempo?
Sì, sicuramente: il gruppo venne fondato da mio padre durante la crisi edilizia degli anni Settanta.Un business che è diventato una grande passione e che, unendosi a questa ‘predilezione’per il mattone, visto che nasciamo nel mondo edile, ci ha portato oggi ad avere tutti gli hotel di proprietà, tranne due che sono in gestione. Starhotels oggi comprende 30 strutture a 4 e a 5 stelle per un totale di 4.200 camere e con alberghi posizionati anche all’estero: a Londra, Parigi e New York. Se mio padre però pensava a una catena di alberghi tutti uguali, oggi l’approccio è cambiato e l’ospite vuole delle esperienze il più possibile personalizzate. Restano capisaldi dell’azienda alcune sue intuizioni geniali, come quella di avere le strutture vicino alle stazioni ferroviarie delle grandi città e come l’idea di dare in outsourcing la parte di f&b. Con un approccio molto industriale, ha incentivato i partner della ristorazione a diventare anch’essi imprenditori.
Siete una delle poche catene italiane presenti all’estero…
Abbiamo iniziato con una prima struttura a New York, un bellissimo hotel che ha dato il via a un cambio di pelle. Oggi gli alberghi di Starhotels all’estero pesano sul fatturato per circa 40 milioni su 241 quindi un 20%, ma sono strutture con poche camere: create nel rispetto della cultura locale ma con tocco italiano. Questo perché non solo siamo con orgoglio il primo gruppo nazionale ma perché vediamo l’Italia come un prodotto di alta gamma che dovrebbe essere proposto per quello che vale. Mi piacerebbe che il nostro settore parlasse non del numero di presenze ma del valore di queste presenze. Ecco perché è importante considerare l’overtourism come un fattore di criticità, dato che non bisogna rovinare una destinazione che è unica al mondo e va tutelata. È giusto dare a tutti quelli che vogliono venire in Italia la possibilità di farlo, ma con logica e competenza, senza sfruttare allo stremo la nostra bellezza.Destagionalizzando ad esempio i flussi, incentivando l’arrivo fuori stagione dei target più basso spendenti.
Cosa cercano oggi i turisti stranieri?
Il lifestyle vince sul concetto di lusso: chi viene qui vuole innanzitutto vivere bene, condividere la nostra ‘way of life’ unica al mondo.Quello che si cerca oggi in viaggio è l’essere felici: le statistiche ci dicono che il 45% di chi organizza un viaggio in Italia lo fa con molto anticipo perché per il turista straniero venire qui è un sogno. Perciò è essenziale per noi non perdere questa bellezza se vogliamo riuscire a condividerla. L’Italia non deve fare altro che essere sé stessa senza sfruttare le sue perle turistiche e le città d’arte in modo esasperato come sta accadendo ora. Perché così, ad esempio, i centri si spopolano per fare posto a un’intensiva creazione di posti letto ma perdono la loro anima e quindi la loro attrattiva. Gli ospiti vogliono respirare il mix unico di storia e arte con l’umanità e il modo di vivere degli italiani che tutti ci invidiano.
Come si può preservare questo patrimonio?
Un modo potrebbe essere creare una ‘beauty tax’, un contributo da far pagare a chi arriva per tutelare la bellezza di questo Paese e il territorio. La nostra cultura e le nostre bellezze naturali sono il nostro prodotto: è quello che chi viene vuole trovare e noi abbiamo il dovere di tutelarlo e di tenerlo da conto per loro, oltre che per le nostre future generazioni. Come azienda cerchiamo di fare il possibile per aiutare il comparto e l’indotto nazionale: dal 2020, in piena pandemia, abbiamo deciso di comprare solo prodotti italiani e oggi il 90% di acquisti e forniture sono nazionali.