Una voce fuori dal coro quella di Antonio Zacchera, CEO del gruppo Zacchera Hotels, rispetto al tema ‘scottante’ della tassa di soggiorno, che in Italia ha raggiunto livelli record e che si prevede balzare ancora più in alto nel 2024. La maggior parte degli albergatori infatti è contraria all’incremento di questa imposta perché ritiene che il turista la interpreti generalmente come un aumento del pricing.
Al contrario, il CEO del gruppo, che gestisce quattro hotel e un residence sul Lago Maggiore, coglie la domanda di innalzamento della tassa avanzata da molti Comuni come un’occasione per rivedere il sistema delle allocazioni: “Molti enti locali hanno richiesto un aumento del 50% dell’imposta di soggiorno per il 2024. Va bene, io sono d’accordo, ma a una condizione: che tutto l’aumento venga destinato ad attività turistiche istituendo un capitolo di bilancio ad hoc. Le risorse pagate dal turista devono essere destinate, ad esempio, alla realizzazione di vie ciclopedonali, alla mobilità elettrica, alla sistemazione dei sentieri o ad attività culturali”.
Zacchera aggiunge che è necessario che venga emanata una circolare attuativa perché la tassa di soggiorno è stata istituita con decreto legislativo n. 23/2011, e introdotta in Italia nel 2012 senza un regolamento che ne abbia fissato i principi generali per l’applicazione. La città di Roma ha poi emanato un regolamento a cui si sono ispirati altri Comuni, ma di fatto non c’è uniformità attuativa su tutto il territorio nazionale. “E non c’è neanche un controllo sull’allocazione della spesa – aggiunge il patron del gruppo piemontese – per cui bisognerebbe istituire un organismo pubblico/privato che controlli la destinazione finale delle risorse”.
L’aumento della tassa di soggiorno è possibile perché la legge 197 del 2022 ha permesso ai Comuni con un numero di turisti 20 volte superiore a quello degli abitanti la possibilità di innalzare la soglia, dall’attuale limite di 5 euro a 10 euro. Cinque le città coinvolte in questa scelta: Venezia, Firenze, Rimini, Verbania e Pisa. Per quanto riguarda il territorio di Verbania, dove opera il gruppo Zacchera, il flusso turistico ha raggiunto 670mila ingressi, quindi superiore di oltre 20 volte i residenti che sono 30mila.
Il concetto alla base delle discordie è che la tanto ‘chiacchierata’ imposta è nata come tassa di scopo, “e invece è diventata una voce che va a coprire diversi ‘buchi’ di bilancio – continua Zacchera. – Se si analizzano i vari capitoli di spesa, si intuisce che questa imposta finanzia servizi come il rifacimento degli impianti fognari, dell’acqua potabile, la manutenzione delle strade e del verde, gli impianti di illuminazione. La giustificazione è che “tutto serve al turismo” e quindi si spalmano le risorse in tantissimi capitoli di spesa. In parte è giusto, ma almeno un terzo delle entrate dovrebbe sostenere lo sviluppo di infrastrutture propriamente turistiche, la mobilità, la pedonalizzazione dei centri storici e delle piazze, eventi artistici”.
Un’altra riflessione è che, aumentando con la tassa di soggiorno la spesa per il viaggiatore, si elevano di conseguenza le aspettative che il turista ha nei confronti dell’ospitalità, perché a un incremento del prezzo deve corrispondere un innalzamento della famosa ‘asticella’ della qualità. Questo può comportare una delusione da parte del turista, che non trova giustificazione alla crescita dei costi. “Ai Comuni questo non importa perché il turista non vota – chiosa polemicamente il CEO – e quindi gli enti locali non sono interessati al consenso elettorale di una persona che è residente (e vota) in un’altra città”.
Arrivando ai numeri, Il Sole 24 Ore riporta che nel 2023 la tassa di soggiorno è cresciuta del 13% rispetto all’anno precedente a 702 milioni di euro, e ha superato anche gli incassi pre-Covid. Quest’anno è cresciuto anche il numero dei Comuni che hanno introdotto la tassa di soggiorno, che sono progressivamente aumentati di anno in anno, e sono arrivati a oltre 1.000 enti locali, mentre nel 2011 erano 13.