Le dimensioni, nella competizione globale e in mercati sempre più volatili, sono d’aiuto. Nel Vecchio Continente, dove prevalgono le proprietà indipendenti, l’espansione dei gruppi alberghieri passa soprattutto attraverso
i soft brand.
Piccolo o medio non è necessariamente sinonimo di brutto così come grande non è necessariamente sinonimo di bello. Ma le dimensioni, nella competizione globale e in mercati caratterizzati sempre più da un’estrema volatilità, sono certamente d’aiuto. Ecco perché anche nel settore alberghiero l’espansione dei grandi gruppi in Europa sta procedendo rapidamente, anche se non ovunque alla stessa velocità.
Nel Vecchio Continente, a fronte di circa 4,5 milioni di camere d’albergo, il 40% di queste appartiene ad alberghi di catena, mentre il 60% ad alberghi indipendenti. Secondo l’ultimo rapporto di Hotel Analyst, ‘The european hotel industry report 2022’, le 10 più importanti catene alberghiere rappresentano oltre un milione di camere in Europa su un totale di circa 1,8 milioni di camere di catena. E poco meno del 30% (oltre 346mila) del totale camere dei primi dieci è in mano ad Accor, di gran lunga il player più importante. Jin Jiang, il proprietario cinese del Louvre e del Radisson, è al secondo posto con poco più di 200mila camere (il 17% del totale delle prime 10). Gli unici altri gruppi con una quota a doppia cifra nella top ten sono Marriott, con 127.499 camere e Intercontinental Hotel Group con 125.004 stanze. Le prime quattro aziende hanno, sostanzialmente, più di due terzi delle camere totali dei primi dieci gruppi alberghieri in Europa.
PRENDERE GLI ‘INDIPENDENTI’
In questo contesto numerose analisi convergono nell’evidenziare che a trainare l’espansione delle catene è il boom delle decine di soft brand (marchi che permettono ai proprietari e agli operatori di affiliarsi a una importante catena pur mantenendo il proprio nome, design e orientamento) che le catene hanno creato e continuano a creare. Alcune per offrire agli hotel indipendenti la possibilità di aderire alle loro potenti reti di distribuzione e ai tanto desiderati loyalty program, altre per accelerare la propria espansione, soprattutto in Europa dove la diffusa presenza di proprietà alberghiere, iconiche ma datate, rappresenta un ostacolo alla crescita dei brand integrati e più standardizzati. È così che sono nati brand come Ascend di Choice, Curio e Tapestry di Hilton, Tribute Portfolio e Autograph di Marriott, Unbound Collection e JdV di Hyatt, Jo&Joe e Handwritten Collection di Accor, Voco e Vignette Collection di Intercontinental Hotel Group. Il risultato è che se in Europa ci sono ancora 3,5 hotel indipendenti per ogni albergo di catena questo numero sta progressivamente diminuendo e considerando le strutture con 25 o più camere, il numero di hotel indipendenti è sceso dagli oltre 51mila del 2015 ai 49.500 del 2021 (fonte Phocuswright su dati Str, Horwath, Eurostat e altri).
EUROPA VS ITALIA
Pur restando lontani dagli Stati Uniti, anche nei Paesi europei stiamo assistendo ad una diffusione degli hotel di catena, Italia compresa. Nella Penisola, però, agli hotel indipendenti appartiene ancora più del 75% delle camere. A condizionare questo dato è in prima battuta la dimensione degli hotel, dei gruppi alberghieri e delle società di gestione, che in Italia è ben inferiore a quella degli altri Paesi europei, nostri benchmark storici (Francia, Spagna, Germania, Uk). Si tratta di un evidente limite per la nostra hospitality industry, per la sua capacità di crescere e combattere ad armi pari nel mercato internazionale. Le ragioni sono molteplici e variegate, profondamente radicate anche nei modelli di business nazionali: la frammentazione della proprietà edilizia, la gestione familiare e indipendente delle attività imprenditoriali, il limitato accesso a capitali di investimento. Arrivando ai numeri, secondo i dati dello studio ‘European hotels & chains report’ di Horwath Htl, nei 22 Paesi europei oggetto di analisi si evidenziano 147mila alberghi di cui 18.600 appartenenti in vario modo alle catene, ovvero il 12,7% del mercato per numero di strutture, percentuale che sale al 38% se si considerano le camere, per un totale di circa 2,3 milioni di camere.
In Italia questi numeri si riducono drasticamente al 5% delle strutture e al 16% delle camere (ovvero 185mila camere circa). In Francia questi numeri sono rispettivamente il 21% e il 49% (320mila rooms), in Spagna il 34% e il 56% (393mila rooms), in Germania l’11% e il 38% (318mila rooms). Questi differenziali dipendono dalle caratteristiche, sopra citate, del sistema ricettivo alberghiero italiano che si basa su piccoli alberghi a gestione famigliare indipendente con una dimensione media di 33 camere, che è simile in Francia (36 camere) ma che cresce in Germania a 66 camere e in Spagna a 94. E il fatto che in Italia sono operativi ben 270 brand non fa altro che confermare la polverizzazione del nostro sistema ricettivo alberghiero. Se dunque in Francia, Spagna e Germania hanno già una media camere per hotel superiore a quella italiana, guardando al dato delle camere in hotel affiliati a catene le dimensioni divergono ulteriormente: in Italia infatti la media è di 106 camere, in Germania è 143 camere, in Spagna è 157 camere. Tutti sono mediamente più grandi di noi, tranne la Francia con 82 camere di media dove però si registra la più alta penetrazione delle catene in Europa grazie in particolare alla crescita dei franchisor e al fatto che gli hotel di catena stanno sviluppandosi in maniera trasversale in tutti i segmenti di mercato, dal budget al lifestyle al luxury.
IL FUTURO DELLE CATENE
Passando alle previsioni di sviluppo, molto dinamico si rivela il mercato alberghiero tedesco dove i livelli di penetrazione delle catene continueranno a crescere fino a superare il 40% delle camere totali nel prossimo triennio. Questo grazie alla fortissima presenza di brand internazionali nel Paese: ben 131, di gran lunga il numero più alto in Europa. Un lieve rallentamento dell’espansione delle catene si registra invece in Spagna, dove dopo anni di boom il loro tasso di penetrazione (+2% su base annua) è andato progressivamente stabilizzandosi su cifre comunque molto significative: il 34% per gli alberghi, addirittura il 56% per le camere, in un mercato dominato dai grandi gruppi ‘nazionali’, il cui consolidamento continuerà come dimostrano i casi Hispania (acquisita da Blackstone) e Nh (acquisita da Minor International). Anche in Italia la presenza delle catene si sta irrobustendo, più grazie a piccoli gruppi nazionali che a major internazionali, un fatto che comunque fa ben sperare per la crescita della nostra offerta alberghiera, anche sotto il profilo economico e finanziario. Da sottolineare che in Italia le camere alberghiere definibili ‘di catena’ si concentrano soprattutto nel segmento più alto del mercato, quello upper upscale e luxury, dove rappresentano il 50% dell’offerta, il 33% in quello upscale. Mentre resta molto limitato a livello midscale ed economy (17%), la spina dorsale del sistema ricettivo alberghiero nazionale. Le ragioni per cui in Italia lo sviluppo delle catene è più rallentato che negli altri Paesi vengono illustrate da Marco Gilardi, operations director Italia e Usa Minor Hotels: “Credo che sia prima di tutto un fatto storico, connesso con il nostro modello turistico e alberghiero partito, diversamente da Spagna e Germania, già ad inizio novecento con strutture ricettive piccole e molto piccole, e famigliari. Poi c’è un elemento culturale che porta gli italiani ad essere spesso autoreferenziali e diffidenti nei confronti di chi viene da fuori a gestire il proprio albergo. Gli italiani, diversamente da quanto accade altrove, hanno purtroppo una visione negativa del concetto di standardizzazione che immaginano sia il mantra delle grandi catene. Ma si tratta di una visione errata e superata. Molti gruppi, tra l’altro, stanno aggirando questo ‘rischio’ con i soft brand che lasciano intatta la singola brand identity ma garantiscono i vantaggi di una struttura organizzativa superiore”. E in fatto di gestioni e contratti cosa differenzia l’Italia dagli altri Paesi? “In Italia – continua Gilardi – sono meno diffusi i contratti di management, una tipologia di accordo che alle catene piace molto sia per motivi gestionali che fiscali. In Italia tendono a prevalere, come nel caso di Nh, i contratti di affitto/locazione che per noi, ad esempio, rappresentano oltre il 55% degli hotel gestiti. Credo comunque che la maggior presenza delle catene in Italia passi obbligatoriamente da una trasformazione culturale degli imprenditori alberghieri che devono vedere nelle catene un’opportunità di crescita grazie ai modelli di business, alla formazione e alla cultura d’azienda e alla professionalità che i grandi gruppi possono mettere a disposizione. Non è, a mio avviso, un problema né di burocrazia né di tipologia di contratti”.