Dopo la crescita nella seconda parte del 2022, consolidata nel primo semestre 2023, la CEO di Bwh Hotels Italia indica i focus per il gruppo. Tornano i clienti asiatici, ma con tipologie di turismo differenti.
Rinnovamento con un focus sulla sostenibilità, customer experience perno di sviluppo e politiche innovative per la gestione del personale. Sono queste le linee essenziali che Sara Digiesi, CEO di Bwh Hotels Italia, indica per lo sviluppo del gruppo che, dopo un 2022 da record (nonostante i primi cinque mesi ancora complicati dagli strascichi del Covid) con 320 milioni di fatturato aggregato, ha archiviato l’estate 2023 con un solido +32% di ricavi rispetto a fine agosto 2022. Nella dinamica di un portafoglio ricco di destinazioni, con una componente internazionale spesso prevalente, Bwh Hotels Italia ha confermato ottime performance anche nell’estate 2023, arrivando a 3,3 milioni di presenze e un’occupazione al 75% tra gennaio e agosto.
Come sintetizza il 2022 e la prima metà del 2023 per Bwh Italia?
Dopo i primi cinque mesi, ancora parzialmente influenzati dal post pandemia, il 2022 ha visto un trend di crescita che si è mantenuto costante anche nella prima metà del 2023. L’incremento di occupazione e Adr è stato progressivo, inoltre con l’aumento dei prezzi c’è stato un miglioramento delle performance generali e i ricavi per camera sono crescenti. Su quest’anno il confronto va fatto con i primi mesi del 2019, ma dopo maggio si sposta sul 2022, da quel momento il nostro anno migliore.
Dunque la prima metà del 2023 regala ottime performance?
Sorprende la crescita generalizzata per tutte le destinazioni. La domanda per l’Italia è incredibile. Ovviamente è più esplosiva per piazze che attraggono una clientela internazionale, ma oltre a Roma, Milano, Firenze e Venezia, emergono Napoli, la Sicilia, la Liguria per i francesi. E poi il nord est che funziona bene.
Da quali mercati si registrano le presenze più significative?
Il nostro marchio ha una posizione molto forte sul mercato Usa, per cui abbiamo avvertito immediatamente il ritorno degli americani dopo la pandemia. Negli ultimi mesi è ripartita anche l’Asia, ma con una composizione un po’ differente nelle presenze: si vede più India e meno Cina, o comunque una Cina rappresentata da turismo individuale invece che da gruppi.
Esiste un’attrazione verso nuovi mercati?
A parte l’India, registriamo un consolidamento del turismo tedesco (che per noi rappresenta il 20% della domanda, con buona capacità di spesa) e francese; inoltre gli ospiti Uk sono meno, ma il ticket medio di soggiorno è decisamente più alto. C’è poi una spinta importante da Polonia e Romania.
L’impatto della guerra in Ucraina è stato rilevante per il gruppo?
Il turismo dalla Russia aveva uno share rilevante soprattutto su Roma e Milano, dove l’impatto si è avvertito. Il fatto però di essere così localizzato non ha generato ripercussioni rilevanti, dato che l’offerta capillare del network ha visto una compensazione.
E quali sono le proiezioni per la seconda parte dell’anno?
Se il trend si mantiene come in questi mesi, il 2023 potrebbe andare ben oltre le proiezioni più ottimistiche. Superare i numeri record di settembre-dicembre 2022 non sarà facile, ma si aprono mercati nuovi e gli eventi pianificati per l’autunno sono un elemento importante di attrazione per una domanda qualificata e altospendente. In effetti notiamo una tendenza ad anticipare le prenotazioni. Ovviamente rimane l’incertezza che ormai ci accompagna costantemente, perché abbiamo sperimentato come tutto possa cambiare dalla sera alla mattina.
Gli effetti della pandemia sono stati completamente riassorbiti?
Direi di sì, anche se rispetto alla marginalità ci sono ancora alcuni squilibri. C’è stato un cambio netto nella gestione delle risorse umane e oggi ci si confronta con la necessità di rispondere ai nuovi schemi del mercato del lavoro. E poi i costi per materie prime e beni di consumo sono aumentati senza un immediato trasferimento sui prezzi.
L’incremento delle tariffe quanto ha compensato la spinta inflattiva?
Il fenomeno emerge guardando la crescita dell’Adr. L’aumento dei prezzi c’è stato e nel primo semestre non è mai calata la domanda. Abbiamo comunque lavorato per sostenere i nostri clienti, ad esempio con strumenti di pagamento dilazionato, infatti abbiamo avviato una partnership con Scalapay, piattaforma molto utilizzata dai più giovani.
Quanto pesa invece la carenza di personale?
È il problema più rilevante in questo momento. Abbiamo provato a rafforzare alcune strategie, puntando a formazione e crescita interna, anche se questo è reso più complesso da una minore disponibilità di risorse. Bisogna sicuramente diventare più attrattivi e permettere alle persone di crescere. Come brand abbiamo aperto una nuova divisione che si occupa proprio delle politiche di Hr: è vero che i nostri alberghi hanno tutti una gestione autonoma del personale e non abbiamo dipendenti di gruppo, ma condividiamo col network progetti legati al welfare e un’impostazione più evoluta nella contrattualistica. Lavoriamo su accordi quadro per garantire vantaggi e benefici legati alla vita personale e familiare (per esempio i viaggi), ma anche per sviluppare piattaforme formative integrate fruibili on demand. Infine stiamo ragionando su piani di scambio tra gli hotel affiliati per consentire la mobilità, soprattutto ai più giovani, con esperienze anche all’estero. Cerchiamo di offrire una visione di medio-lungo periodo a chi lavora con noi.
Quali sono le vostre strategie sul medio termine?
Da un lato vogliamo accompagnare nella crescita i nostri albergatori e in quest’ottica stiamo potenziando il lavoro sul design delle strutture. Tra i nostri affiliati ci sono esempi importanti di tradizione dell’hotellerie italiana e oggi stanno affrontando un momento di riqualificazione degli spazi e dei servizi. Per supportarli abbiamo un dipartimento che lavora con progettisti e fornitori di arredi per traghettare la trasformazione estetica oltreché funzionale e tecnologica dei nostri alberghi. Un focus cruciale è la customer satisfaction. Sicuramente le evidenze di crescita maggiore sono dove il prodotto rimane attrattivo, ma è indispensabile che l’aumento di prezzo sia collegato al mantenimento della soddisfazione per gli ospiti. In quest’ottica spingiamo sul nostro programma loyalty: per il consolidamento del business è essenziale avere oltre 55 milioni di clienti fidelizzati a livello globale.
Come si sta evolvendo il vostro network?
In Italia sviluppiamo 11 brand del gruppo e per ciascuno lavoriamo con accuratezza. Ora abbiamo cambiato lo statuto per cui diventeremo società benefit e le aree d’impatto sono ben delineate. Stiamo ad esempio accompagnando gli alberghi verso un programma di sostenibilità con l’adozione di energie rinnovabili (oggi oltre il 40% dell’utilizzo nelle strutture) e ci siamo arrivati con incentivi sulle nostre quote, condividendo la responsabilità. È un passaggio importante che è stato colto.
Stanno cambiando equilibri e dinamiche di mercato?
L’arrivo in Italia di nuovi brand evidenza una trasformazione del settore, con una spinta su professionalità e competitività. Le white label possono fare economie di scala, ma affiliandosi ai marchi ottengono servizi e attività di promozione e pricing. Noi, ad esempio, abbiamo accompagnato la crescita di una quindicina di gruppi familiari partiti con una sola struttura.
Cresce l’apertura verso l’esterno, sul no-rooming?
Cresce e deve crescere ulteriormente, consapevoli del fatto che il servizio venga apprezzato dagli ospiti se pensato anche per l’esterno. Un ristorante ancillare alle camere, ad esempio, sarà difficilmente attrattivo per la città (e oltre). Vediamo dunque lo sviluppo di servizi un tempo collaterali con identità e business plan propri, che richiedono competenze specifiche e perciò talvolta vengono affidati in outsourcing.
Come evolve il f&b nella produzione di ricavi per gli hotel?
Sicuramente osserviamo la crescita nella proposta di spirits e cocktail, con i rooftop bar che aumentano. Le terrazze o i dehors diventano centro di ricavo, lavorando con gli ospiti e aperti all’esterno. E questo vale in città come in provincia, soprattutto dopo il Covid. La ristorazione poi è una spalla sempre più solida e diventa un business strutturato che pesa sul fatturato.