Sale in Italia la richiesta di talenti preparati a portare verso il futuro l’ospitalità. Per formarli come professionisti e come ‘persone’ serve un sistema di istruzione che il Paese ancora non è riuscito a costruire.
Un vero e adeguato turismo di alta gamma deve essere sostenuto da una formazione ad hoc che aiuti le imprese, alberghiere ma non solo, a fare il salto di qualità necessario a rendere l’Italia finalmente in linea con il suo Dna di Paese del lusso. Per fare questo passaggio decisivo però ci si scontra con quello che è un problema storicamente irrisolto della nostra industria dell’ospitalità. Per gestire hotel di categoria upscale e upper upscale – ovvero dalle 4 stelle in su -, servono manager e personale formati con una preparazione specifica e l’Italia fino ad ora è quasi del tutto sprovvista di istituti specializzati nel luxury. Oggi però, quella di dotarsi di scuole all’altezza, è una necessità non più procrastinabile, tanto è vero che spesso i gruppi internazionali operanti in Italia sopperiscono a questa carenza prevedendo corsi interni. Strumenti di questo tipo possono aiutare a superare il gap della formazione in questa fase di transizione ma vanno considerati come palliativi al problema. Serve un sistema di scuole ufficiali e riconosciute a livello globale. È qui che va coinvolto anche il mondo politico. Le istituzioni, anche attraverso il supporto delle associazioni di settore, devono prendere in carico una rivoluzione del settore formativo che accompagni e possa sostenere l’upgrade dell’hotellerie, magari iniziando dagli istituti già esistenti. Le stesse scuole sanno che senza un’accelerazione in questa direzione non si cresce.
Italiana ma anche accademica internazionale di esperienza, essendo stata direttore del Master in Luxury Brand Management alla Regent’s University di Londra, Eleonora Cattaneo – oggi program director del Master in Luxury Management & Guest Experience del Glion Institute of Higher Education -, crede che nella Penisola l’educazione all’ospitalità debba essere una responsabilità condivisa. “Il settore è in crescita – spiega – e nel 2022 ha creato 315mila posti di lavoro in più rispetto all’anno prima, arrivando a 2,7 milioni di occupati a livello nazionale, ovvero uno su nove in tutta Italia. È quindi fondamentale che l’educazione all’ospitalità sia una priorità, ma se cerco online ‘corsi universitari in gestione alberghiera o turistica’ trovo poche proposte in Italia. La formazione locale è un primo passo e le associazioni di settore possono dare una risposta parziale: servono iniziative da parte di scuole di formazione e università”.
LA PROPOSTA ITALIANA
Una risposta di alto livello la sta provando a dare la Scuola Italiana di Ospitalità, prima hotel-school (dove si impara anche lavorando sul campo) in Italia, nata nel 2019 grazie al sostegno di Cassa Depositi e Prestiti e del gruppo Th Resorts. “Le istituzioni nazionali e locali – afferma il direttore Giulio Contini – potrebbero avere un ruolo di coordinamento e indirizzo sul territorio delle iniziative e di sostegno finanziario. Non a caso, abbiamo tra i promotori Fondazione Cdp e come primo partner accademico Ca’ Foscari, un’università pubblica. Le associazioni di settore, invece, possono collaborare e hanno collaborato con noi a vari livelli: da un lato con la partecipazione alla progettazione didattica, dall’altro col supporto per il tutoraggio e il sostegno agli studenti nella fase di stage dove si completa l’apprendimento. Molte aziende poi offrono i loro manager per masterclass su temi di attualità del settore di cui beneficiano tutti gli studenti”. Una formazione che deve fare anche rima con educazione, se l’obiettivo è quello di provare a crescere generazioni che sappiano dare l’importanza che merita a un turismo che ha un ruolo chiave nell’economia del Paese, che si spera sia sempre crescente. “Quello che proviamo a fare – spiega Stefano Prete, head of corporate di Hospite, accademia di formazione nata nel 2018 per valorizzare la tradizione dell’ospitalità italiana – è di condividere con gli studenti un sistema che parta proprio con l’educazione alla conoscenza del settore come base sulla quale costruire poi una formazione più strutturata. Lavoriamo ad esempio per inserire le materie turistiche nei programmi delle scuole primarie e secondarie. Cerchiamo poi di valorizzare le figure lavorative raccontandone i lati positivi, dinamici e le prospettive di crescita in modo da generare candidati per le professioni del turismo. E ancora facciamo crescere i talenti una volta entrati nel mondo del lavoro attraverso programmi di formazione avanzata”.
LA ‘VIA’ DEL LUSSO
Sono diversi allora i soggetti, sia privati che istituzionali, che potrebbero collaborare per rendere il turismo e le sue professioni sempre più appetibili alle giovani generazioni. In special modo proprio quelle legate all’ospitalità di lusso che aprono infatti ‘porte’ di carriera di livello anche molto elevato come in pochi altri settori capita. “Governi, centri di formazione e associazioni di categoria hanno una grande responsabilità nei confronti dell’educazione all’ospitalità, soprattutto per allinearsi alle reali esigenze del settore in un ambiente in rapida evoluzione, promuovendo una cultura dell’apprendimento permanente per rendere il settore più attraente – dice Markus Venzin, CEO di Ehl Group a cui fa capo la svizzera Ehl Hospitality Business School fondata nel 1893 -. In Italia e non solo. A mio avviso però proprio la Penisola, potrebbe trarre ispirazione dal sistema di istruzione duale svizzero, per il suo successo nel colmare il divario tra istruzione e mercato del lavoro. È un modello che pone una forte enfasi sulla formazione esperienziale con la teoria sempre abbinata alla pratica, in stretta collaborazione tra università e industria, e offre ampie opportunità di apprendistato. Ecco perché in quest’ottica la collaborazione tra pubblico e privato è essenziale“.
Da molti anni insomma è proprio la mancanza di un approccio completo che impedisce all’Italia di fare un salto di qualità nella formazione per l’ospitalità di lusso. Tanto è vero che molte realtà dell’industria alberghiera internazionale hanno cercato di sopperire a questa carenza organizzandosi internamente. “La formazione aziendale ‘interna’ – dice Prete – ha innumerevoli vantaggi a partire dal fatto che i temi trattati sono personalizzati in base alle esigenze dell’azienda, garantendo agli staff costanza nella formazione e non interventi sporadici. D’altro canto, spesso è gestita da formatori interni e questo può impattare sulle metodologie e sulla poca presenza di confronti con esperienze di altro tipo. La formazione esterna da questo punto di vista è sicuramente più efficace, ma la formula migliore rimane sempre la combinazione delle due tipologie per dare continuità internamente agli spunti e metodologie che si apprendono grazie agli interventi esterni”.
UN MIX VINCENTE
La formula migliore pare essere quella mista, anche se non sembra un punto di approdo facile, specie in un Paese complesso, per istituzioni e infrastrutture, come è l’Italia. “Grazie alla stretta collaborazione con Th Resorts – aggiunge Contini – siamo riusciti a mixare le due strategie andando a progettare delle academy ‘ibride’. Nelle quali, chiariti gli obiettivi generali tra scuola ed azienda, alcuni momenti di formazione sono stati portati avanti da manager interni, mentre altri da docenti della scuola, per apportare punti di vista diversi che potessero arricchire lo stesso management con tematiche inerenti la guest experience design, il design thinking, le soft skill ed il team building. Abbiamo disegnato a monte delle strategie con la creazione di gruppi di lavoro, gestiti da ‘facilitatori’ interni, sotto la supervisione ed il coordinamento di docenti esterni della scuola. E finora questa è la soluzione che ci ha permesso di far convergere efficacemente queste due strade”. Insomma è chiaro che gli operatori dell’ospitalità si trovano di fronte a una sfida molto impegnativa. Complicata dal fatto che la crisi pandemica ha rivelato l’importanza di adattare e sviluppare le politiche delle risorse umane in modo da soddisfare le esigenze, soprattutto delle nuove generazioni, di una posizione lavoro-vita più equilibrata. “La risorsa migliore del settore sono più che mai le persone – spiega Cattaneo -, soprattutto perché oggi è essenziale sapere offrire un servizio di qualità, rivolto ‘one to one’. Anche quando il ruolo è manageriale”.
Non solo: con l’aumento della domanda di talenti, integrare la forza lavoro in team coesi che offrano esperienze di ospitalità eccezionali è l’aspetto complementare ma altrettanto importante che compete alla formazione. “La costante domanda di professionisti specializzati – conclude Venzin – in ottica lusso, sta creando un numero maggiore di posti di lavoro disponibili a fronte di un numero minore di persone che intraprendono una carriera in questo mercato. Ciò rappresenta un’opportunità d’oro per gli studenti ambiziosi che desiderano accelerare la propria carriera nel settore dell’ospitalità. Ecco perché, oggi più che mai, servono programmi di formazione all’avanguardia in grado di affrontare insieme le due maggiori sfide: formare personale qualificato e contribuire alla crescita occupazionale a lungo termine nel comparto”.