Le alte temperature estive spingono il turismo verso la destagionalizzazione. E i viaggiatori migrano dal sud europa verso il nord. Intanto, La montagna soffre d’inverno per la scarsità della neve e cresce in estate.
“Non ci son più le mezze stagioni”, è il mantra del cambiamento climatico in atto soprattutto nelle aree mediterranee d’Europa. E in effetti per l’economia del turismo l’effetto del climate change è appunto la destagionalizzazione, dato che proprio l’imprevedibilità del meteo e l’innalzamento delle temperature nell’arco dell’anno stanno cambiando abitudini di viaggio, comportamenti e scelte dei turisti.
La consapevolezza rispetto a questo fenomeno esiste e gli operatori del settore stanno studiandolo, soprattutto per adattare strategie di promozione e proposte di accoglienza. “Enit sta conducendo uno studio specifico – riferisce la CEO dell’agenzia, Ivana Jelinic – da cui emerge nitidamente il cambio di passo e anche il cambio di trend, oltre che di stagionalità turistica, proprio per via dei cambiamenti climatici. Questo consente di destagionalizzare e anche di convertire la bassa stagione in alta stagione”.
RIMODULAZIONE DELLE STAGIONALITÀ
Ecco la chiave di lettura che sembra emergere dal confronto con i soggetti istituzionali e i player economici del mondo travel. Innanzitutto prende piede l’opzione rivolta a evitare il caldo torrido della classica pausa estiva. “Si va nella direzione di una distribuzione del turismo lungo tutto l’arco dell’anno – chiarisce Jelinic – e spesso si sceglie di anticipare o posticipare le proprie vacanze per evitare temperature eccessivamente calde durante l’estate. Potrebbe esserci un aumento della preferenza per le destinazioni montane, più fresche rispetto alle zone costiere o alle città”. La presidente di Enit evita però di generalizzare rispetto alla minore attrattività estiva delle città d’arte. “Non è possibile sostituire un unicum in termini di offerta turistica”, spiega. Certo, si evidenzia già un incremento dei viaggi in bassa stagione, perché “le persone preferiscono evitare i periodi di punta, per il caldo e le folle, optando per viaggi in periodi meno densi come l’autunno o l’inverno”. E proprio in relazione al nodo climate change, “i turisti potrebbero cercare di ridurre le loro emissioni di carbonio – chiosa Jelinic – ad esempio scegliendo mezzi di trasporto più sostenibili o optando per strutture green”.
DAL SUD AL NORD
Dello stesso parere è Roberta Garibaldi, docente di Tourism Management all’Università di Bergamo e vicepresidente del Comitato Turismo Oecd. “È altamente
plausibile – osserva – che i turisti decideranno di scegliere mete e tempi differenti. Temperature più calde, mancanza di neve o eventi calamitosi influenzano le scelte di chi viaggia”. Garibaldi si richiama ad un recente studio della Commissione Europea che indica i potenziali cambiamenti di flussi in Europa nel caso di aumento delle temperature medie, che renderà le regioni costiere del nord Europa più gradevoli in estate e autunno, con un conseguente aumento di visitatori stimato oltre il 5%, mentre nel sud il caldo porterà decrementi nella stagione estiva (circa -10%), solo parzialmente compensati dai flussi nelle stagioni intermedie e in inverno. “Si tratta di stime da verificare e calare nei territori – osserva la studiosa – ma questo scambio da sud a nord si è già in parte verificato in Francia. L’estate 2023 ha visto una crescita di turisti nelle regioni settentrionali (+6%), solitamente meno frequentate, e al contempo le destinazioni mediterranee hanno evidenziato un calo (-5%). Sarà fondamentale monitorare questi cambiamenti nel corso del tempo per non trovarci impreparati”.
TURISTA RESPONSABILE
Fin qui i dati, ma quali potranno essere le contromisure? “Vi saranno certamente rischi – afferma Garibaldi – ma anche nuove opportunità da cogliere. E noi tutti come turisti dobbiamo fare scelte più responsabili, dai trasporti alle strutture ricettive, fino ai piccoli comportamenti quotidiani. C’è bisogno di aiutare chi viaggia, informandolo e supportandolo nelle scelte”, aggiunge la docente che a breve pubblicherà la Carta del Turista Enogastronomico Sostenibile.
Se il turista è green, le strutture ricettive sono allineate per dare il loro contribuito al contenimento dei cambiamenti climatici.
Non solo nell’outdoor, ma anche negli alberghi gli sforzi sono crescenti – come sottolinea il direttore generale di Federalberghi Alessandro Massimo Nucara. “Gli operatori non possono governare il climate change, ma devono capire come adattarsi – chiarisce – e se da un lato si adottano soluzioni innovative per ridurre l’impatto ambientale, dall’altro bisogna lavorare sull’esperienza di viaggio per dare di più al turista. Tutti vorremmo sciare su una montagna innevata, ma non ci si può limitare all’esperienza primaria”. Mentre ci sono territori che stanno allungando la propria stagionalità, il focus è sul “prodotto” turistico. “Occorre inventare e realizzare nuove opportunità di proposta – chiosa Nucara – perché, se rimaniamo ancorati a un prodotto unico, domani potrebbe essere meno vendibile. Invece devo capire cosa offro in alternativa. Accogliere uno sciatore o un sub ha delle specificità, ma il nostro mestiere è accogliere e invogliare a scoprire il mondo fuori dalla camera d’hotel”. In quest’ottica Federalberghi rilancia la necessità di un coordinamento di filiera per costruire l’alternativa rispetto a una domanda turistica che cambia.
MONTAGNA A QUATTRO STAGIONI
Il mutamento di scenario sembra favorire dunque la montagna, in accelerazione dopo il Covid. “Con riferimento all’arco alpino – osserva Valeria Ghezzi vicepresidente Federturismo e presidente degli impiantisti Anef – il climate change ha spinto una crescita in atto. Con il tempo bello e caldo,il turista sale in quota per sciare o anche solo per godere del panorama, per una passeggiata o per andare a mangiare. L’estate, ma anche l’autunno e la primavera hanno un grande potenziale”. Il perno dell’economia montana rimane però lo sci e Ghezzi non nasconde la preoccupazione per un futuro con cime sempre meno innevate, ma sottolinea la capacità di reazione. “Per ora l’innevamento è in grado di far fronte alle esigenze con una neve di alta qualità – chiarisce – anche se chiaramente una nevicata ci dà l’emozione del contesto. Gli impiantisti di tutta Italia stanno però lavorando sullo sviluppo nelle altre stagioni, offrendo la possibilità di un trasporto sostenibile (in quanto elettrico) per tutte le esperienze in quota”.
Montagna dunque, ma anche outdoor. “Il turismo all’aria aperta ha visto una crescita che la pandemia ha amplificato – rimarca Alberto Granzotto presidente di Faita-FederCamping – e contestualmente i cambiamenti climatici influenzano moltissimo lo sviluppo diverso della stagionalità, con l’ampliamento soprattutto all’inizio e alla fine delle stagioni consuete”. È un processo in corso, tanto che alcuni camping hanno tenuto aperto fino a novembre con un’ottima affluenza. “Il cambiamento c’è – riprende Granzotto – e può esser sviluppato dotandosi di strutture e proposte nuove. Il turista fuori stagione è solitamente più slow e più attento al territorio, dunque ha bisogno di servizi complementari (l’enogastronomia in primis) per vivere esperienze diverse”.
Uno sviluppo che si vede lungo tutta la filiera. “Dai sistemi di raffrescamento agli infissi alle tecnologie, c’è un’attenzione crescente per la gestione delle temperature – conferma Giovanna Voltolini, exhibition manager della fiera Hospitality Riva – ma c’è anche una consapevolezza nuova nella progettazione degli spazi. Se l’hotel è una struttura energivora, nuove soluzioni costruttive e la formazione del personale possono ridurne l’impatto. E poi c’è l’alternativa open air, che propone un’accoglienza meno artificiosa con temperature naturali”