Erano gli ultimi turisti che mancavano all’appello. I cinesi, i cui portafogli contano tanto per i prodotti di lusso italiani che vengono acquistati ‘a man bassa’ quando arrivano le comitive con gli occhi a mandorla nella Penisola, stanno tornando nel Belpaese. Al termine dell’anno scorso, la Cina ha riaperto i confini nazionali, favorendo la ripresa dei viaggi leisure all’estero. L’Italia però è arrivata più tardi, solo dal 15 marzo è entrata a far parte della lista delle destinazioni autorizzate per i viaggi dei gruppi di turisti cinesi.
Secondo le proiezioni del China Outbound Tourism Research Institute i turisti cinesi attesi in Italia nel 2023 sono circa due milioni, su un totale di sei milioni previsti in Europa. Si stima che i numeri del 2019, pari a tre milioni di arrivi dalla Cina in Italia con 5,4 milioni di presenze, vengano superati nel 2024.
Tuttavia, queste stime potrebbero incontrare difficoltà legate ai complessi procedimenti per ottenere i visti turistici – solo intorno al 10% della popolazione cinese ha il passaporto – e ai collegamenti aerei. “La scarsa disponibilità di aeromobili ha contratto il mercato dell’aviazione – ha dichiarato Ivana Jelinic, AD e presidente Enit durante un intervento pubblicato sul sito dell’Agenzia Nazionale del Turismo – e molti vettori hanno dovuto rimodulare le loro rotazioni e cambiare le rotte, trovando ostacoli oltretutto anche nell’approvvigionamento dei mezzi. Air China ha già ripreso i voli quotidiani su Milano e ci sarà un incremento di voli diretti dalla Cina all’Italia nelle prossime settimane. Tuttavia ci vorrà tempo prima di tornare ai circa 164 voli che avevamo nel 2019, ma confidiamo che in poco tempo si possa ritornare a raggiungere numeri similari”.
Inoltre, nel momento in cui le autorità cinesi hanno favorito la ripresa del turismo grazie al rilascio dei visti, “si è verificato un sommesso attivismo di tutti i soggetti che hanno dovuto riassestare il proprio lavoro: le agenzie di viaggio cinesi e i tour operator”, ha dichiarato Cristiano Varotti, China country manager Enit. “Questi hanno dovuto rivedere la propria strategia, che si concentrava ormai da tre anni solo sul mercato domestico e riprendere in mano i contatti persi con i fornitori europei e i partner, ripensando alla strategia dei prezzi e al catalogo dei prodotti”.
Nel 2019 sono stati 170 milioni i cinesi usciti da mainland China – territorio governato dalla Repubblica Popolare Cinese (comprese isole come Hainan o Chongming) -, di cui 75 milioni sono rimasti nella Greater China – termine con cui si fa riferimento alle aree geografiche che comprendono Cina continentale, Hong Kong, Macao e Taiwan – mentre 95 milioni hanno viaggiato nel resto del mondo. Di questi, dieci milioni di turisti cinesi sono arrivati in Europa nel periodo pre-pandemico, di cui quasi un terzo in Italia.
Anche le prenotazioni verso i Paesi asiatici risultano al di sotto del 2019, con tariffe aeree a lungo raggio alle stelle e un numero insufficiente di voli disponibili, secondo quanto riportato da Reuters. A febbraio scorso, oltre 150mila turisti cinesi si sono recati in Thailandia, secondo gli ultimi dati del Ministero del Turismo thailandese, ma il dato è ancora inferiore dell’85% rispetto a febbraio 2019. Allo stesso modo i viaggi in Giappone e Corea del Sud hanno recuperato solo il 5%-10% nello stesso periodo. “Questo fenomeno ha a che fare principalmente con le limitazioni dell’offerta nell’industria aerea e nel settore turistico dei Paesi di destinazione”, ha dichiarato Sheana Yue, economista per la Cina di Capital Economics.