Come spesso accade, è più utile cavalcare il cambiamento piuttosto che combatterlo. Chiaramente, purché si giochi all’interno del rispetto delle regole e della legalità. Quanto sta accadendo all’interno del mondo extralberghiero ha in effetti più chiavi di lettura. Da una parte, c’è un fenomeno che letteralmente ‘esplode’ e, dall’altra, c’è il tentativo di arginare l’illegalità, ma forse, con essa, anche il fenomeno stesso.
Si calcola che in Italia ci siano 35mila bed and breakfast, di cui il 70% non imprenditoriali e il restante 30% imprenditoriale, un mercato che impiega 50mila persone. Quasi le metà dell’offerta (47,8%) si trova tra sud e isole, il 31,5% al nord, il restante 20,7% nel centro Italia. Nel 2012 nel nostro Paese i bed & breakfast erano poco più di 25mila, un incremento nell’arco di un decennio del 36,1% che ha portato oggi ad avere 190mila posti letto in queste strutture (elaborazioni Trademark Italia su dati Istat).
In Italia il numero medio di pernottamenti venduti in un anno da un b&b è di circa 350, per un numero complessivo di 10,5 milioni e un volume d’affari totale annuo che si attesta sui 350 milioni di euro (fonte Habitante).
A modificare però lo scenario dei bed & breakfast, cosi come avvenuto per il settore alberghiero, è intervenuta negli ultimi anni l’esplosione della cosiddetta sharing hospitality ovvero le locazioni turistiche brevi. Secondo Cesare Gherardi, vicepresidente dell’associazione per le attività extralberghiere Anbba, “gli affitti brevi stanno in qualche modo cannibalizzando anche il settore dell’ospitalità extralberghiera soprattutto nei contesti ad elevata concentrazione di turisti, ad esempio nei centri storici delle città d’arte”. Analizzando i dati Istat della ricettività extralberghiera collegata agli alloggi in affitto gestiti in forma imprenditoriale e non, risulta un incremento delle strutture dal 2012 ad oggi in Italia pari al 74,9% (+51,6% i posti letto) arrivando a contare quasi 120mila strutture per 920mila posti letto. Numeri che chiaramente rappresentano una significativa alternativa, anche quantitativa, all’offerta alberghiera.
Si tratta di una crescita esponenziale che non fotografa completamente il mercato degli affitti brevi, quello per cosi dire afferente alla piattaforma Airbnb. Basti pensare che secondo Airdna, società che si occupa di analizzare i dati degli annunci su Airbnb, gli alloggi prenotabili sulla principale piattaforma globale per gli affitti brevi nel 2022 hanno superato quota 426mila nel momento di picco stagionale (luglio-settembre), con la domanda che ha superato i livelli pre-pandemici grazie ad una crescita del 14% di notti prenotate rispetto al 2019 e del 105% rispetto al 2021. E anche i prezzi degli affitti brevi hanno subito un incremento significativo crescendo di oltre trenta punti percentuali rispetto al 2019 e del +16% rispetto al 2021.
Il problema allora è quello di tutelare il genius loci dei centri storici cittadini, allontanando lo spettro del loro svuotamento e lo stravolgimento del relativo tessuto sociale, commerciale ed economico. In questo senso si muove il ddl del ministro del Turismo Daniela Santanché che, si legge su Il Sole 24 Ore, punta a “fornire una disciplina uniforme a livello nazionale volta a fronteggiare il rischio di un turismo sovradimensionato rispetto alle potenzialità ricettive locali e a salvaguardare la residenzialità dei centri storici ed impedirne lo spopolamento”. Come aveva già accennato nel corso dell’assemblea di Federalberghi, Santanché ha predisposto che il ddl renda obbligatorio il Codice Identificativo Nazionale (Cin) rispetto ai venti Codici identificativi regionali (Cir) attualmente esistenti. Il disegno di legge introduce un soggiorno minimo di due notti per i Comuni ad alta densità turistica che, secondo Istat, sono poco meno di un migliaio sui 78.882 comuni italiani. Infine, il ddl prevede la figura del property manager e per questo si demanda all’Istat l’apertura di un Codice Ateco specifico per la categoria confermando l’obbligatorietà per i property manager di agire da sostituto d’imposta, raccogliendo e versando per conto dei proprietari la cedolare secca. In tema di sanzioni, non esporre il Cin per ogni annuncio costerà all’host, al gestore o alla piattaforma da 300 a 3mila euro, mentre il proprietario privo di Cin rischierà una sanzione da 500 a 5mila euro.
Più che lecita insomma la regolamentazione, ma il trend è innegabile e viene rilevato anche da una ricerca di World Capital Group con Nomisma, che ha analizzato le intenzioni dei turisti italiani su scala nazionale: che siano viaggiatori leisure o business, pur restando l’albergo la tipologia di alloggio più richiesto, diminuisce la quota di chi lo sceglie. Cresce esponenzialmente invece la quota di coloro che optano per una soluzione extralberghiera, con i b&b a +900% di richieste rispetto al 2019.
È ormai evidente che il boom dell’extralberghiero non è più una congiuntura stimolata dal post pandemia quanto piuttosto un dato in via di consolidamento a livello globale, conseguenza di un approccio sempre più flessibile dei viaggiatori, alla costante ricerca di short stay a short term, e sempre più spesso self organized… abitudini che si stanno affermando come transizioni strutturali permanenti.