Settimana scorsa Airbnb ha perso la battaglia legale con le autorità di New York contro le restrizioni approvate dal municipio della metropoli per regolare la tipologia di soggiorno degli affitti brevi, core business della stessa piattaforma. Si tratta di una nuova legge (andata in vigore proprio ieri, 5 settembre) che vieta l’affitto nella Grande Mela di interi appartamenti per meno di 30 giorni, mentre i contratti inferiori alla stessa lunghezza vengono consentiti solo se l’host risiede nell’alloggio che affitta e non ha più di due ospiti insieme. Inoltre, con la nuova regolamentazione, i proprietari di case in affitto breve si devono registrare presso un ufficio del comune cittadino che ne deve autorizzare l’attività.
Alcuni operatori pensano che questa norma porterà alla scomparsa del modello di business Airbnb in una delle destinazioni più visitate del pianeta: secondo i dati della stessa piattaforma, gli affitti brevi a New York nel solo 2022 avevano prodotto un fatturato di 77 milioni di euro. Diverse le reazioni anche in Italia degli addetti ai lavori, come riportato da Pambianco Hotellerie la settimana scorsa, alle quali si aggiunge anche quella di Marco Celani, presidente Aigab, associazione italiana gestori affitti brevi: “È stato un giro di vite ingiustificato, basta guardare i numeri. Su ‘Inside Airbnb’ (sito web indipendente che misura l’impatto degli affitti brevi sulle città di tutto il mondo) si scopre che il numero di annunci online a New York ad agosto 2023 è stato di circa 43mila, di cui il 42% sono camere in condivisione e il 56% case intere. Numeri che sul totale delle case della metropoli, che sono circa 7,8 milioni, portano a una incidenza dello 0,5% sul totale”.
Sono insomma numeri poco rilevanti secondo il manager, che è anche Ad di Italianway – azienda tech che opera sul mercato italiano degli affitti brevi –, e che mostrano appunto come la decisione di limitare questi affitti sia guidata da interessi particolari oltre che ingiustificata. “In media i proprietari di New York – spiega – affittano per soli 78 giorni l’anno, per arrotondare o massimizzare la capacità di far fruttare un investimento in una città dove il costo delle case al metro quadro è tra i più alti al mondo. Sempre sul sito ‘Inside Airbnb’, se si restringe la ricerca alle sole case intere online e a quelle affittate frequentemente e recentemente, scopriamo che sono solo 9.331, meno di quelle autorizzate da Barcellona. È possibile che una città di quasi nove milioni di abitanti non possa permettersi di avere novemila case online? Ed è possibile che un numero così piccolo, possa limitare il diritto di proprietà e la libertà d’impresa nella più antica democrazia del mondo?”.
Ci si chiede quindi quali saranno realmente gli effetti di questa stretta, non solo a New York ma in tutte le grandi destinazioni turistiche, compresa l’Italia, nelle quali il business deli affitti brevi è cresciuto negli ultimi anni. “Sicuramente il prezzo delle notti in hotel a New York aumenterà – conclude Celani – mentre probabilmente gli host troveranno forme alternative alle piattaforme online per affittare, stavolta davvero ‘in nero’, le loro case. Non ci aspettiamo una diminuzione dei contratti perché ad esempio l’analisi dei numeri di Barcellona ed Amsterdam, città europee che hanno da più lungo tempo restrizioni sugli affitti brevi, ci dice che i due mercati non sono correlati. La mia conclusione è che la metropoli ha deciso di limitare i diritti di alcuni cittadini a favore degli interessi degli albergatori. Una cattiva pratica per cui non credo ci possano essere spazi in Italia nonostante le richieste che arrivano da parte di Federalberghi. Anzi nel nostro Paese siamo in attesa che il Governo porti avanti il processo di centralizzazione di adempimenti e controlli in modo da semplificare i processi e togliere alibi alle amministrazioni incapaci di far rispettare regole che già esistono. Oggi in Italia ci sono 600mila case per affitti brevi, un terzo delle quali gestite da operatori professionali in grado di attrarre un turismo di qualità”.