Sebbene il lusso si stia avvicinando ad una fase di ‘normalizzazione’ dei consumi, la fascia alta del mercato, quando ben posizionata e corredata da un’identità forte, resta un’isola felice in ogni settore merceologico, inclusa l’ospitalità. Questo vale ancor di più per il nostro Paese che, come scritto più volte sul magazine, è naturalmente votato a un turismo di lusso. Detto questo, non possiamo pensare di sostenere un mercato solo con gli hotel lusso ed extra lusso, perché nel settore i volumi si iniziano a fare con una categoria inferiore, quella dei 4 stelle. Questo segmento si trova stretto tra i 3 stelle, fortemente incentrati sul “value for money” e sempre più “attraenti”, e gli hotel di lusso che possono contare su un’immagine e uno storytelling mediatico inattaccabile.
Per questa ragione gli hotel a 4 stelle, che sono poco più di 6mila secondo la fotografia scattata da Federalberghi e rappresentano il 36,4% del mercato in numero di camere, si trovano di fronte ad un bivio: scendere o salire. È ovvio che la strada obbligata sia quella della salita. È necessario infatti virare verso l’alto, senza necessariamente entrare nella nicchia di mercato del lusso ma andando a lambirla, garantendo un’esperienza che ambisca all’alto di gamma.
Insomma, il ‘dado è tratto’ e per il ‘mondo di mezzo’ si profila una necessaria evoluzione in termini di posizionamento, in modo particolare in quelle città d’arte come Milano, Roma, Firenze o Venezia, dove la clientela è fortemente internazionale ed è più accesa la concorrenza con le grandi catene internazionali.
Ecco la mission che i quattro stelle hanno davanti, la loro sfida nel futuro. Si tratta di investire sui servizi, sulla loro identità di marca, sul giusto posizionamento in fatto di prezzi. Il cliente internazionale non è avvezzo al sistema delle catalogazione in base alle stelle, pratica solamente italiana, ma è di certo più sensibile al giusto mix tra costo ed esperienza. Ed è qui che la ricca varietà italiana può fare la differenza.